Everycult: John Rambo di Sylvester Stallone

L'Everycult della settimana è dedicato a John Rambo, action del 2008 scritto, diretto e interpretato da Sylvester Stallone.

Everycult: John Rambo di Sylvester Stallone
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La guerra l'avrà anche vinta Rocky Balboa, ma le battaglie le ha combattute tutte John Rambo. E lo ha fatto per anni, senza soluzione di continuità, anche a guerra finita e quando non serviva più un eroe. E nel 2008 probabilmente Stallone aveva bisogno di Rambo più di quanto Rambo avesse bisogno di Stallone.
L'iconico attore, produttore centellinato, sceneggiatore spesso geniale e regista di grande polso e decisione, stava iniziando a mettersi a suo agio nel XXI secolo grazie al successo di Rocky Balboa, sesta pellicola della leggendaria saga cinematografica del pugile italo-americano più famoso del '900. Quel film era il suo ritorno dietro la macchina da presa dopo ben 21 anni (l'ultimo lavoro era stato Rocky IV) e siccome Rambo ha sempre rappresentato l'altra faccia della medaglia di Rocky, il nichilismo arrendevole e la disillusione nei confronti di quella stessa America che invece il campione del mondo dei pesi massimi celebrava a colpi di speranza e seconde occasioni, Stallone si rivolse proprio al suo veterano per una nuova seconda regia.
E quindi, nonostante negli anni '90 avesse detto no a un ritorno del suo emblematico one-man-army, nel 2008 le strade di Sylvester Stallone e John Rambo tornarono a incontrarsi. In un'altra foresta. In Birmania.

Vivere per niente o morire per qualcosa

"Vivere per niente o morire per qualcosa" è la frase iconica del film, lo slogan ribelle e sfrontato che sarebbe stato addirittura adottato dal gruppo umanitario dei Free Burma Rangers e che Stallone avrebbe personalmente eletto come il momento di maggior orgoglio personale in tutta la sua carriera.
Del resto John Rambo è un film molto orgoglioso, con idee precise e la determinazione necessaria a portarle fino in fondo.
Già l'inizio colpisce lo spettatore: prendendo in prestito filmati di repertorio della guerra in Birmania, che continua ancora oggi con l'infame nomea di essere la guerra civile più lunga della storia, John Rambo è il più dichiaratamente schierato dei film della saga e rievoca le fondamenta politiche anti-militaristiche dell'episodio originale. Stallone punta tutta l'attenzione di Hollywood in Myanmar, dove una cruenta guerra civile imperversa da oltre 50 anni.

In questa regione il regime militare ha sterminato migliaia di persone, spazzato via interi villaggi, reso stupri e torture pratiche comuni, sparpagliato mine antiuomo nei campi e nelle risaie come fossero fertilizzanti, il tutto allo scopo di appropriarsi delle abbondanti risorse naturali del Paese.
Un gruppo di volontari internazionali, tutti idealisti e decisi a cambiare le cose, parte in direzione del conflitto per una missione umanitaria: rifornire di viveri e medicinali un villaggio nei pressi di Burma.
Due di loro, Sara Miller (Julie Benz) e Michael Burnett (Paul Schulze) arrivano in Thailandia perché hanno saputo che c'è un americano molto pratico delle acque del fiume che il gruppo dovrà risalire fino al villaggio prescelto.
Si tratta di John Rambo, da anni ritiratosi lì per rifarsi una vita.

I mercenari

Più eroe decaduto e disilluso che mai, il John Rambo del film si ritroverà suo malgrado a lottare per una causa in cui sembra credere più Stallone che lui stesso.
Anche grazie alla figura di Sara, messo di nuovo davanti a quegli orrori che aveva cercato cinicamente di dimenticare, saprà far proprio il conflitto, l'ennesimo della sua drammatica esistenza. E ancora una volta il reticente Rambo si tufferà a capofitto nella foresta, quella bestia dantesca e oscura che sembra averlo intrappolato per sempre.

Come in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, chiaro riferimento cinematografico per Stallone nella realizzazione di questo episodio della saga (ci sono anche i fumogeni rossi e le danzatrici nella giungla), Rambo guida la sua imbarcazione ai confini con l'orrore ed esso lo risucchierà a sé risvegliando gli antichi fantasmi e riaprendo le vecchie ferite.
Se l'approccio alla trama è quello che ci si aspetterebbe da qualsiasi film del genere, con il generale del regime dittatoriale che avrà una pessima giornata (e con lui tutte le sue truppe), particolarmente interessante a livello cinematografico è invece l'utilizzo che Stallone fa di Rambo e del suo corpo. Superati i sessant'anni all'epoca delle riprese, la star fa sentire il peso dell'età su ogni muscolo, in ogni goccia di sudore, il machismo stilizzato degli anni '80 si è disciolto in una figura essenziale, quasi mitologica, della quale si potrebbero ritrovare tracce anche nel Batman di Zack Snyder.

Ne risulta un cambio di rotta totale anche nella messa in scena, distante anni luce dall'esagerazione da popcorn della saga (che appartiene soprattutto a Rambo II e Rambo III) e adesso davvero brutale, respingente, quasi l'esatto contrario dello spettacolo pirotecnico del passato.
Nel suo guardare a Quella sporca dozzina, I magnifici sette o ancora a Il mucchio selvaggio affiancando al protagonista un plotone omogeneo di soldati, con John Rambo Stallone sembra già piantare i semi per il successivo progetto cinematografico, ancora oggi l'ultimo firmato in qualità di regista: curiosamente I mercenari, uscito nel 2010 a due anni di distanza da John Rambo, sarebbe stato un ritorno a quella stilizzazione anni '80 che in Birmania proprio non aveva trovato posto.

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