Everycult: Jackie Brown di Quentin Tarantino

L'Everycult della settimana è Jackie Brown, terzo lungometraggio scritto e diretto da Quentin Tarantino con Pam Grier e Robert Forster.

Everycult: Jackie Brown di Quentin Tarantino
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Ora che il leggendario sceneggiatore e regista Quentin Tarantino sta iniziando a pensare concretamente al ritiro, ritagliandosi anche una nuova carriera come scrittore (il suo primo libro, il romanzo di C'era una volta a Hollywood, arriverà in Italia entro la fine di giugno grazie a La Nave di Teseo), è giusto tornare agli albori della sua carriera per rivivere insieme una delle grandi perle della sua encomiabile e infallibile filmografia: Jackie Brown.
Terzo lungometraggio da regista ma ennesimo copione confezionato ad arte dopo i primi passi nella Hollywood degli anni '90, che lo avevano visto dietro le sceneggiature anche di film di altri colleghi come Le mani della notte, Dance me to the end of love e i più famosi Una vita al massimo di Tony Scott, Assassini nati di Oliver Stone e The Rock di Michael Bay, Jackie Brown ancora oggi appare come un unicum nel testo complessivo dell'autore Tarantino, un consapevole ed elegante controcampo sul reale dopo le eccentricità del precedente capolavoro Pulp Fiction e al tempo stesso un'opera incredibilmente matura per un regista allora neanche 34enne.

Un'opera diversamente tarantiniana

Così "classico" e così avulso da una filmografia che tutto è stata fuorché tradizionale, Jackie Brown risalta ancor di più fra i vari Kill Bill, Bastardi senza gloria, A prova di morte e affini: a oggi il solo e unico testo del regista adattato da un altro autore (la trama è tratta da un romanzo di Elmore Leonard), è allo stesso tempo un'opera tarantiniana per eccellenza per la sua fervida ironia, la capacità di stupire e la passione dilagante per gli omaggi all'arte del cinema.
Magari diversamente tarantiniana, eppure bastano poche scene per rendersi conto a quali latitudini e longitudini appartengano questo mondo e questi personaggi.
Tutta la reverenza decostruttiva che l'autore aveva applicato al gangster movie di Scorsese (e non solo) con i precedenti Le iene e Pulp Fiction, in Jackie Brown si rivolge al noir classico e soprattutto alla blaxploitation, prefigurandosi fin dalla primissima inquadratura (ma anche a partire dal logo, che non a caso va a recuperare i font tipici dei film black) come una lettera d'amore indirizzata a Pam Grier.
Attrice nata nel cinema nero degli anni '70 e in più di un senso archetipo (insieme magari a Tamara Dobson) della corrente blax, con i suoi seminali Donne in catene, Coffy, Foxy Brown e Sheba, Baby (ma non solo), Pam Grier riconfigura il cinema di Tarantino stabilendolo come uno dei migliori autori di donne di sempre.

Assente da Le iene e già riletta in Pulp Fiction, la donna per l'autore diventerà centrale proprio a partire da Jackie Brown, o meglio da Pam Grier, una delle muse della giovinezza cinefila di Tarantino.
Beatrix Kiddo di Kill Bill, i due distinti gruppi di amiche di A prova di morte, la duplicità di Shoshanna/Emmanuelle e Bridget Von Hammersmar in Bastardi senza gloria, la figura di Broomhilda in Django Unchained, quella demoniaca di Daisy Domergue di The Hateful Eight e quella angelica/favolistica di Sharon Tate in C'era una volta a Hollywood sarebbero arrivate dopo, ma coerentemente alla riscoperta/glorificazione di Jackie Brown.
Unico personaggio tarantiniano degno di dare un titolo a un'opera (diversamente) tarantiniana.

Il piano di un autore

Va poi specificato che Jackie Brown appartiene alla categoria di quelle classiche opere d'autore che abbisognano di un quadro più ampio, di un contesto più completo e di un punto di vista più rialzato per essere compresa pienamente.
Spiazzante all'uscita per chi aspettava un sequel spirituale di Pulp Fiction, oggi appare come il tassello fondamentale di una filmografia votata al ribaltamento tanto della classicità quanto della modernità, che sarebbe arrivata a prendere di mira tutti i generi cinematografici possibili senza fare prigionieri.

Privo all'apparenza (o per lo meno rispetto alle opere precedenti) di quei "fuochi d'artificio" che in gergo scoperchiano e svelano i giochi post-moderni del cinema, che si rivela tale allo spettatore che lo guarda, Jackie Brown è un film sinuoso che si articola per ellissi, digressioni e ripetizioni (della sua scena madre) dilatandosi non tanto nei tempi narrativi (come accadeva ad esempio con Pulp Fiction) quanto in quelli descrittivi, facendo emergere ancora di più i personaggi, non più maschere o cliché del genere d'appartenenza ma persone con motivazioni, relazioni, sogni.
Incastonata tra le note di Across 110th Street, brano ma anche titolo originale di un film del 1972 diretto da Barry Shear (noto in Italia come Rubare alla mafia è un suicidio), che aprono e chiudono l'avventura di redenzione e rinascita di Jackie, Tarantino dirige un noir di rara eleganza, dall'intreccio sequenziale e musicale, un'opera tutt'altro che appariscente come solito per l'autore ma non per questo meno complessa e ammirevole.
Soprattutto Jackie Brown è una rarissima love-story tarantiniana, sempre romantico ma principalmente nei confronti del cinema e quasi mai dei suoi personaggi.

La protagonista interpretata da Pam Grier e il deuteragonista di Robert Forster (altro attore della Hollywood di serie b degli anni '70 contemporaneo alla sua collega black) si incontrano "nel mezzo del cammin" della loro vita sia dentro che fuori dallo schermo (entrambe le carriere, come spesso capita con le star di Tarantino, saranno risollevate dal film) intessendo una relazione suggerita, soffusa, quasi platonica, che è in più di un senso il motore e il cuore della pellicola.
In ultima analisi Jackie Brown è un coacervo di situazioni e filoni cinefili anni '70 (blaxploitation, serie b e New Hollywood, rappresentata ovviamente da Robert De Niro, il più tarantiniano dei personaggi del film insieme all'immancabile Samuel L. Jackson) che insieme compongono un noir crepuscolare e malinconico, nel quale si pensa alla vecchiaia e il piano pensionistico è l'unico possibile.
Se davvero dovesse arrivare la pensione anche per Quentin Tarantino, pazienza, perché di lui rimarrebbe eterno un piano autoriale fra i più compiuti, poliedrici e ideologici della storia del cinema.

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