Takeshi Kitano è uno dei registi più folgoranti, completi e complessi nati nelle sale cinematografiche dagli anni '90 a oggi. Un talento rarissimo per la storia del cinema e un autore totale, già completamente fatto e finito fin dal film d'esordio Violent Cop, sia come attore che come sceneggiatore/regista. Quello di Takeshi Kitano è un cinema primigenio e immacolato, fatto di immagini e scene, di emozioni e impressioni. Lo è in ogni singolo film, ma lo è stato in particolar modo con Hana-bi: Fiori di fuoco.
"Attenzione, quest'uomo è estremamente violento"
Il titolo del paragrafo è la traduzione letterale del nome per il mercato giapponese di Violent Cop, film d'esordio di Kitano. Inizialmente scelto come attore, Kitano divenne il regista del progetto ereditandolo da Fukasaku, un grandissimo dello yakuza movie e demiurgo della decennale saga di Lotta senza codice d'onore. Ma a guardar bene il cinema di Kitano non è estremamente violento, casomai è estremo in ogni senso possibile. Lo è nella recitazione tra l'impassibile e il macchiettistico, tra la caricatura e l'esasperazione degli archetipi, lo è nello stile di ripresa immoto che quasi costringe la camera alla stasi, nel montaggio brusco e improvviso, spesso curato da Kitano in persona, ma anche nel bilanciamento narrativo in grado di trovare umorismo e dolcezza in mezzo a una visione del mondo cupissima e brutale. Quello di Takeshi Kitano è un cinema radicale, spesso definito "di destra" se non addirittura fascista dai detrattori, ma inconfondibile.
L'opera di Kitano è splendidamente e orgogliosamente fine a sé stessa, è profondamente conscia del suo essere cinema ma allo stesso tempo si annulla, lavorando più sulle immagini singole che sulla loro consequenzialità. È una caratteristica che appartiene non tanto all'audiovisivo quanto alla pittura, non a caso altra passione di Kitano e valvola di sfogo artistica fondamentale nel suo capolavoro Hana-bi.
Fiori di fuoco
Oggi Hana-bi è ricordato principalmente per il trionfo a Venezia 54, dove la giuria lo premiò con l'ambito Leone d'Oro. Eppure i premi nel cinema non sono tutto, e di certo Hana-bi non va considerato il capolavoro di Takeshi Kitano solo per il trofeo. Casomai lo è per come introietta nei suoi 103 drammatici minuti tutto il cinema che il suo autore aveva fatto prima e anche quello che avrebbe fatto negli anni successivi. C'è la rilettura incredibile del genere poliziesco e dello yakuza-movie che aveva contraddistinto Violent Cop, Boiling Point e Sonatine ma anche la sconfinata dolcezza de Il silenzio sul mare, il senso e la voglia di libertà di Kids Return e poi gli scampoli dei futuri Brother, L'estate di Kikujiro, la saga di Outrage e via discorrendo. Anche la parentesi da cinema della psicanalisi di stampo felliniano (che Kitano affronterà poi di petto) inizia qui. Non è un caso che tutti i dipinti inquadrati in Hana-bi siano realizzati da Kitano stesso, hanno un significato preciso e raccontano una voglia di vivere incredibile, nonostante tutto.
Il film arrivò infatti tre anni dopo l'evento più importante e traumatico della vita del suo autore, quello dell'incidente motociclistico avvenuto nel '94 che rischiò di ucciderlo e che invece quasi per il volere di un destino superiore contribuì a rendere il suo volto ancora più inusuale, caratteristico e meraviglioso per la macchina da presa.
È nato così il suo distintivo tic all'occhio destro, che assottiglia definitivamente il confine tra il Kitano persona e il Kitano attore, che in questo film torna anche davanti alla cinepresa dopo il fattaccio. Hana-bi è un gioco tra la vita e la morte che sembra nato come epifania di un uomo a un passo dal suo creatore. È un film incredibile di dicotomie di estremi come lo è tutto il cinema del suo autore, un film di fiori e di fuoco, di sangue e di neve. Un'elegia all'amore e alla morte, alla vita e all'odio, un racconto di poli opposti e di arte che ora è una cosa ora l'altra ma che in ogni momento è sia dettaglio che quadro d'insieme, non una mescolanza di colori ma un accostamento di sfumature, un capolavoro di puntinismo paziente, arrabbiato, sereno, dolce. È il massimo esempio di un cinema unico e universale quasi da alfabeto morse, linea per le riprese lunghe e punto per gli strappi, di violenza o di delicatezza, che in Hana-bi sembra implodere e guardare se stesso.
Everycult: Hana-bi - Fiori di fuoco di Takeshi Kitano
L'Everycult della settimana è Hana-bi: Fiori di fuoco, dramma sullo sfondo della yakuza del 1997 scritto e diretto da Takeshi Kitano.
Takeshi Kitano è uno dei registi più folgoranti, completi e complessi nati nelle sale cinematografiche dagli anni '90 a oggi. Un talento rarissimo per la storia del cinema e un autore totale, già completamente fatto e finito fin dal film d'esordio Violent Cop, sia come attore che come sceneggiatore/regista. Quello di Takeshi Kitano è un cinema primigenio e immacolato, fatto di immagini e scene, di emozioni e impressioni. Lo è in ogni singolo film, ma lo è stato in particolar modo con Hana-bi: Fiori di fuoco.
"Attenzione, quest'uomo è estremamente violento"
Il titolo del paragrafo è la traduzione letterale del nome per il mercato giapponese di Violent Cop, film d'esordio di Kitano. Inizialmente scelto come attore, Kitano divenne il regista del progetto ereditandolo da Fukasaku, un grandissimo dello yakuza movie e demiurgo della decennale saga di Lotta senza codice d'onore.
Ma a guardar bene il cinema di Kitano non è estremamente violento, casomai è estremo in ogni senso possibile.
Lo è nella recitazione tra l'impassibile e il macchiettistico, tra la caricatura e l'esasperazione degli archetipi, lo è nello stile di ripresa immoto che quasi costringe la camera alla stasi, nel montaggio brusco e improvviso, spesso curato da Kitano in persona, ma anche nel bilanciamento narrativo in grado di trovare umorismo e dolcezza in mezzo a una visione del mondo cupissima e brutale.
Quello di Takeshi Kitano è un cinema radicale, spesso definito "di destra" se non addirittura fascista dai detrattori, ma inconfondibile.
L'opera di Kitano è splendidamente e orgogliosamente fine a sé stessa, è profondamente conscia del suo essere cinema ma allo stesso tempo si annulla, lavorando più sulle immagini singole che sulla loro consequenzialità.
È una caratteristica che appartiene non tanto all'audiovisivo quanto alla pittura, non a caso altra passione di Kitano e valvola di sfogo artistica fondamentale nel suo capolavoro Hana-bi.
Fiori di fuoco
Oggi Hana-bi è ricordato principalmente per il trionfo a Venezia 54, dove la giuria lo premiò con l'ambito Leone d'Oro. Eppure i premi nel cinema non sono tutto, e di certo Hana-bi non va considerato il capolavoro di Takeshi Kitano solo per il trofeo.
Casomai lo è per come introietta nei suoi 103 drammatici minuti tutto il cinema che il suo autore aveva fatto prima e anche quello che avrebbe fatto negli anni successivi.
C'è la rilettura incredibile del genere poliziesco e dello yakuza-movie che aveva contraddistinto Violent Cop, Boiling Point e Sonatine ma anche la sconfinata dolcezza de Il silenzio sul mare, il senso e la voglia di libertà di Kids Return e poi gli scampoli dei futuri Brother, L'estate di Kikujiro, la saga di Outrage e via discorrendo.
Anche la parentesi da cinema della psicanalisi di stampo felliniano (che Kitano affronterà poi di petto) inizia qui.
Non è un caso che tutti i dipinti inquadrati in Hana-bi siano realizzati da Kitano stesso, hanno un significato preciso e raccontano una voglia di vivere incredibile, nonostante tutto.
Il film arrivò infatti tre anni dopo l'evento più importante e traumatico della vita del suo autore, quello dell'incidente motociclistico avvenuto nel '94 che rischiò di ucciderlo e che invece quasi per il volere di un destino superiore contribuì a rendere il suo volto ancora più inusuale, caratteristico e meraviglioso per la macchina da presa.
È nato così il suo distintivo tic all'occhio destro, che assottiglia definitivamente il confine tra il Kitano persona e il Kitano attore, che in questo film torna anche davanti alla cinepresa dopo il fattaccio.
Hana-bi è un gioco tra la vita e la morte che sembra nato come epifania di un uomo a un passo dal suo creatore.
È un film incredibile di dicotomie di estremi come lo è tutto il cinema del suo autore, un film di fiori e di fuoco, di sangue e di neve.
Un'elegia all'amore e alla morte, alla vita e all'odio, un racconto di poli opposti e di arte che ora è una cosa ora l'altra ma che in ogni momento è sia dettaglio che quadro d'insieme, non una mescolanza di colori ma un accostamento di sfumature, un capolavoro di puntinismo paziente, arrabbiato, sereno, dolce.
È il massimo esempio di un cinema unico e universale quasi da alfabeto morse, linea per le riprese lunghe e punto per gli strappi, di violenza o di delicatezza, che in Hana-bi sembra implodere e guardare se stesso.
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