Everycult: L'Evocazione - The Conjuring di James Wan

In occasione dell'uscita di Annabelle 3, nuovo capitolo del The Conjuring Universe, Everycult ritorna alle origini del progetto ideato da James Wan.

Everycult: L'Evocazione - The Conjuring di James Wan
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Con Annabelle 3, ormai scalpitante alle porte, pronto a riportare sullo schermo - anche se in dose ridotta - la coppia di demonologi più famosi e amati del cinema horror contemporaneo, in questi giorni al lavoro per le riprese di The Conjuring 3, Everycult volge il suo sguardo cinefilo al primo incontro del pubblico mondiale con Ed e Lorraine Warren, analizzando il film che nel 2013 inaugurò l'universo cinematografico che James Wan e New Line crearono sul modello di quello di Kevin Feige e Marvel Studios.
Stiamo parlando ovviamente di The Conjuring, horror sovrannaturale dal cuore gigante e dal talento ancora più evidente, col quale ormai sei anni fa il regista malaysiano naturalizzato australiano compì definitivamente il passo nel regno del cinema della paura, dopo la bella prova di Insidious e gli esordi nel campo del brivido con Saw e Dead Silence, che rivisti oggi sembrano chiaramente una fase preliminare per la creazione di Annabelle.

Classicismo e modernità

L'unica pretesa di James Wan alla vigilia del concepimento di The Conjuring è stata quella di realizzare un horror classico in ogni suo aspetto: dalla fotografia alla messa in scena, dalle scenografie ai costumi. L'autore, che cita il piano sequenza con cui John Carpenter apre Halloween (leggi: recensione di Halloween di John Carpenter) ma in chiave spensierata, quasi da commedia, riprende lo stile di Robert Altman con zoom in e out delicati e riprese continue, che sembrano non voler finire mai, che mescolati ai meccanismi della suspence di Alfred Hitchcock nelle scene di tensione affilano il grado di sopportazione portandolo al massimo.
Allo stesso tempo però in chiave moderna si permette di giocare coi canoni dell'horror, non solo realizzando un'intera sequenza in stile mockumentary ma anche citando ovviamente L'Esorcista, non per copiarlo né semplicemente omaggiarlo ma più cinicamente per giocare con i luoghi comuni stabiliti dal film di Friedkin: The Conjuring fa talmente sul serio che concede ai suoi protagonisti perfino il lusso di comportarsi come persone vere e non come personaggi di un film horror, facendo ricordare loro di dover accendere le luci prima di affrontare una stanza buia o un corridoio, ma la sfortuna è che farlo qui serve a ben poco!

Non è che ci sia qualcosa di incredibilmente innovativo nel film di Wan, semmai la sua forza sta nell'aura classicheggiante che abbraccia l'intero impianto filmico: ci sono oggetti demoniaci canonici, i terrori a cui siamo solitamente abituati, perfino i mostri non sono nulla di eccezionale, così ispirati come sono tanto a quelli del cinema occidentale quanto, nel trucco, ai fantasmi dell'immaginario del j-horror (a parte Annabelle, il cui magnifico e macabro ghigno apre il primo approccio all'universo The Conjuring, e forse non a caso oggi ne è il suo elemento più iconico), ma Wan usa tutti questi elementi insieme come se fosse il primo ad adoperarli e a metterli in scena, dimostrando una conoscenza per i meccanismi del genere e un rispetto per gli ingranaggi che li muovono di encomiabile eccellenza.

È lui il ragazzo asiatico seduto nella cabina di regia dei Warren, che controlla macchine fotografiche, microfoni, cineprese, registratori e comparto audio assicurandosi che tutto vada come deve andare: come l'aiutante dei protagonisti, James Wan sembra avere il controllo su tutto, ha sempre a portata di mano ciò che può servire per far progredire il film ed è incredibile come riesca a suscitare ogni volta terrore e senza violenza (non ce n'è), o addirittura senza usare i mostri, innescando quegli automatismi che tanto bene conosce per insinuare nello spettatore il sospetto che ci siano davvero.
Resta da antologia la lunga, agonizzante e interminabile sequenza nella camera da letto, dove a vedere il demone è solo la ragazzina che dal demone è stata svegliata: ma noi siamo con lei in quella maledetta stanza e come lei siamo bloccati sul letto, impossibilitati a fuggire. È James Wan che ce lo impedisce.

Oltre l'orrore

I migliori film dell'orrore sono quelli che veicolano la paura in un contesto che funzionerebbe a prescindere da quella paura stessa, e generalmente per farlo si ha bisogno di personaggi che funzionino indipendentemente dal taglio che vuoi dare alla loro storia: la relazione tra Ed e Lorraine Warren, che James Wan usa come motore principale della vicenda, in questo senso funziona alla grande, anche grazie all'attore feticcio del regista Patrick Wilson e alla bravissima Vera Farmiga, due volti e a cui è impossibile non voler bene. Sono dei supereroi retrò, lui tutto spalle e croci e bibbie (anche se laico), lei con una sorta di potere extrasensoriale da medium che le permette di vedere i morti come il bambino de Il Sesto Senso ma in chiave più macabra, hanno i loro contatti al Vaticano come Captain America e Vedova Nera con lo S.H.I.E.L.D. e perfino la loro base (non tanto) segreta, con annesso museo degli orrori, in cui collezionare gadget di vecchi casi risolti come dei memorabilia maledetti che solo loro sanno come maneggiare e quindi custodire (come Nick Fury nella Fase 1 del MCU: non dimentichiamo del resto da chi Wan ha mutuato l'idea di universo condiviso).

Tra un controcampo che nasconde uno spavento pazzesco, dietro uno stacco al montaggio di gran classe e l'altro, il regista ci fa affezionare ai due protagonisti descrivendone la love-story e mettendola in relazione con quella della famiglia perseguitata dalla malvagia strega Bathsheba, come avrebbe fatto in chiave ancora più dichiaratamente romantica nel bellissimo The Conjuring 2 - Il Caso Enfiled, con un Patrick Wilson dalla voce calda che strimpellava Elvis Presley in un'indimenticabile scena toccante.

È come se Wan volesse andare oltre l'orrore con The Conjuring, come se piuttosto che scatenarlo volesse studiarlo o intesserci un rapporto, passarci più tempo possibile per potercelo spiegare attraverso le immagini, al fine di esplorarne la capacità terribile che ha di mettere alla prova i legami che uniscono i personaggi. Sarebbe diventata una costante per i film del franchise, una formula da cui i capitoli successivi sarebbero ripartiti o avrebbero provato ad ampliare - con risultati alterni - questa sorta di liaison che annoda il sovrannaturale alla perdita (o al rischio della perdita) dei valori familiari, l'orrore cinematografico legato al terrore più grande e terribile di tutti, quello terreno.

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