Everycult: Dracula di Bram Stoker, di Francis Ford Coppola

L'Everycult della settimana è Dracula di Bram Stoker, di Francis Ford Coppola, con protagonisti Gary Oldman, Keanu Reeves, Anthony Hopkins e Winona Ryder.

Everycult: Dracula di Bram Stoker, di Francis Ford Coppola
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Nel 1992 Francis Ford Coppola aveva già tutto. Il primo Oscar era arrivato 21 anni prima, per la sceneggiatura originale di Patton, Generale d'Acciaio di Franklin J. Schaffner, che due anni dopo nel '73 sarebbe stata replicata con quella non originale vinta per Il Padrino. Altri due anni e la vittoria sarebbe stata addirittura tripla, con un altro Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e quelli per la miglior regia e film dell'anno ottenuti con Il Padrino - Parte II. Il conto delle successive nomination, entro il 1991, sarebbe salito addirittura a nove, con quelle per La Conversazione, Apocalypse Now e Il Padrino - Parte III.
Al di là dei numeri e delle onorificenze, dei trofei e dei palmares, era il prestigio che circondava la sua figura, il suo nome e soprattutto la sua carriera a essere abbacinante: che abbia deciso di gettarsi nell'horror, un genere appena sfiorato nella sua filmografia col suo secondo film, Terrore alla Tredicesima Strada (del 1963), e regalare alla storia del cinema il capolavoro di misticismo gotico che è Bram Stoker's Dracula è quindi qualcosa di cui tutti gli amanti della settima arte dovrebbero essergli eternamente e doppiamente grati.
E non poteva esserci un momento migliore per celebrare il film di Coppola con la nostra rubrica Everycult, non tanto per l'appropinquarsi della festa di Halloween, soprattutto per il recente annuncio col quale Netflix ha svelato i lavori su una nuova serie televisiva ispirata al romanzo di Bram Stoker e sviluppata dai creatori di Sherlock Steven Moffat e Mark Gatiss. Arriverà nel 2019 e, per forza di cose, dovrà confrontarsi con il lascito dell'opera di Coppola: è nelle lunghe, fantasmagoriche, affusolate e inquietanti ombre lanciate da questo film, del resto, che è germogliata l'atmosfera del cinema horror degli anni successivi.

Ombre e nebbia

Il film inizia nel 1462 a Costantinopoli e si muove trasognato fra il castello del Conte Vlad Tepes l'Impalatore e la Londra del 1897, fatta di ospedali psichiatrici purulenti, vecchi cinematografi, ville sontuose con ampi giardini ed enormi piazze, in cui centinaia di comparse vittoriane si spostano nel modo ordinatamente disordinato col quale si muovono solo le comparse nei film.
Fin dal prologo, così tanto debitore dell'impianto grafico di quel Kagemusha di Akira Kurosawa che Coppola aveva prodotto nel 1980 (l'armatura di Dracula sembra quella di un samurai cui qualcuno abbia scarnificato la pelle), il film vanta una sontuosità di eccessi e un'espressione artistica tanto schiva nella trama quanto chiara nella sua visione.
Tutto è fumoso, avvolto da una nebbia che la fotografia di Michael Ballhaus dipinge con rossi o blu accesissimi, una nebbia onirica che sembra stata soffiata dai set di Carpenter o da quello di In Compagnia dei Lupi di Neil Jordan, con la quale Coppola cospira nel tentativo di creare stacchi al montaggio inventivi o dissolvenze evocative (celebri quelle della coda di pavone e dei fori sul collo) e rendere ogni immagine sottile e al tempo stesso in perpetuo movimento.
Il dop Jordan Cronenweth in Blade Runner aveva ottenuto lo stesso effetto, ma infondendo nel quadro quell'originale luccichio acquoso che Ridley Scott pretendeva per riflettere la pioggia incessante della sua Los Angeles retro futurista; Coppola invece vuole che il suo film sia una nuvola evanescente, una macchia di vapore ora zaffiro ora rubino, per accentuare il terrificante lavoro che scenografie ed effetti speciali avevano orchestrato per i giochi di ombre.
Quelle ombre sui muri, così sinuosamente drappeggiate e spettacolarmente spettrali, che confondono il Jonathan Harker di Keanu Reeves, rendendo impercettibile e confusa la presenza nello spazio del Conte Dracula di Gary Oldman: dall'ingresso in scena del principe vampiro, celebre citazione del Nosferatu di Wilhelm Murnau del 1922, Coppola inventa ossessivamente nuovi trucchi, giocando col protagonista e con lo spettatore, trasformando il corpo materiale di Oldman in un elegante oggetto etereo e nero, che si proietta su ogni esuberante superficie barocca... tranne che su quelle degli specchi.

L'occhio cinematografico di Coppola è così visionario da riuscire a intravedere dal passato il miglior look di Reeves, col suggerimento del Conte ("Dovresti farti crescere la barba") che oggi sa tanto di profezia per l'avvento di John Wick; impossibile non notare poi la somiglianza che c'è fra questa versione del principe dei Vampiri e lo sfigurato senatore Palpatine della trilogia prequel di Star Wars (sempre complicata e affascinante l'amicizia/rivalità fra Coppola e George Lucas), mentre un celebre primo piano di Dracula che emerge dall'ombra avrebbe ispirato Christopher Nolan per un'altrettanto celeberrima immagine promozionale del Joker di Heath Ledger.
L'oscuro espressionismo col quale Coppola dipinge le sue elaborate immagini si mescola in maniera perfetta con la volontà viscerale di utilizzare quegli stessi effetti pratici figli dell'era del cinema muto di George Melies: quel desiderio di concretezza a distanza di anni avrebbe contagiato tutto il genere, dalle coreografie di Hereditary alla ricercatezza di The VVitch, fino ad arrivare alle forme gommose e tangibili del cinema di Guillermo Del Toro, mentre durante la visione del film contribuisce a enfatizzare l'ottundimento sensoriale e la vivace morbosità dell'erotismo di cui Bram Stoker's Dracula è intriso.

Una fantasia di sesso e sangue

Più che un horror, a tratti il film sembra un sogno erotico, o meglio un incubo, un fantasy fatto di sangue, amore e desideri con una carica sessuale affascinante e terribile.
Coppola fa la stessa cosa che aveva fatto col suo altro capolavoro immenso, Apocalypse Now, ovvero prendere un genere cinematografico specifico e riempirlo di idee, immagini e impulsi provenienti da tutt'altro tipo di cinema. Nel caso del leggendario film con Marlon Brando la psichedelia si insinuava nel dramma bellico, in Bram Stoker's Dracula le atmosfere del cinema dell'orrore si confondono con quelle dell'erotismo.
Il desiderio di sesso in tutti i personaggi principali dell'opera è talmente vibrante e vorace che è difficile stabilire se è il sangue a stimolare la voglia di copulazione o viceversa. Quello di Coppola è un mostro che non beve mai vino (a differenza dell'Hannibal Lecter de Il Silenzio degli Innocenti, uscito l'anno prima e che nel '92 avrebbe vinto una valanga di Oscar, diventando il primo "horror" a trionfare nella categoria miglior film) ma la cui sete di sangue si mescola - o forse dipende - da quella per il sesso.

Lo stupro del lupo mannaro, i corteggiamenti di Vlad alla Mina Murray di Winona Ryder (che sbircia con timorata curiosità e frivolo imbarazzo le illustrazioni pornografiche contenute in Arabian Nights di Richard Burton), l'orgia di Jonathan con le tre mogli di Dracula, che termina col conte che offre un neonato in pasto alle donne (Michaela Bercu, Florina Kendrick e la nostrana Monica Bellucci, che avrebbe rincontrato Keanu Reeves in Matrix Reloaded, chiedendogli un bacio forse non casualmente): come sono belle quelle immagini, in tutta la loro scandalosa e violenta ossessione, repulsive e al tempo stesso attraenti.
Fungono inoltre da contraltare visivo perfetto per un sofisticato ragionamento sulle malattie sessualmente trasmissibili su cui Coppola si interroga attraverso l'Abraham Van Helsing di Anthony Hopkins: il morso del vampiro viene associato alla sifilide, la perdita della verginità alla morte della religione, la ricerca della passione all'allontanamento da Dio; perfino il simbolismo alla base del contagio attraverso gli iconici canini viene ribaltato, diventando un vero e proprio atto di penetrazione sessuale, con i versi della non-morte della Lucy Westenra di Sadie Frost che assomigliano più a quelli dell'orgasmo che a quelli di una lenta agonia.
Una riflessione intrigante e geniale che impedisce di relegare la potenza evocativa del film al solo cinema dell'orrore, permettendogli di trascendere e concedersi all'immortalità cui appartiene la figura del suo personaggio principale.

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