Everycult: Blow Out di Brian De Palma

L'Everycult della settimana è dedicato a Blow Out, capolavoro del 1981 scritto e diretto da Brian De Palma con protagonista John Travolta.

Everycult: Blow Out di Brian De Palma
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Fra tutti gli autori emersi durante la generazione della New Hollywood, da Francis Ford Coppola a George Lucas, da Martin Scorsese a Steven Spielberg, da Woody Allen a Robert Altman, da John Carpenter a William Friedkin, probabilmente nessuno, a livello artistico, è stato divisorio tanto quanto lo è stato Brian De Palma, da alcuni acclamato come "figlio statunitense" del "padre britannico" Alfred Hitchcock, capace di prodezze visive meravigliosamente realizzate e intrecci da re moderno della suspense, da altri screditato proprio attraverso lo stesso paragone col regista di Psycho e La Finestra sul Cortile, del quale stando ai detrattori sarebbe nient'altro che una pallida imitazione più perversa e violenta.
Mito assoluto di Quentin Tarantino (leggi: Everycult su Pulp Fiction), il quale proprio dal cineasta di Scarface "rubò" la capacità di sintetizzare/lasciarsi ispirare da elementi ripresi da diverse opere precedenti e trasporle all'interno di un'unica opera a sé stante e soprattutto diversa, De Palma aveva - e ha ancora, come dimostrato nel recente Domino - la capacità quasi unica di scivolare attraverso le sequenze per conferire allo spettatore la conoscenza esatta della geografia spaziale della scena, in modo tale che chi guarda sa esattamente dove si trovano i personaggi in qualsiasi momento, sia in relazione fra di essi, sia in relazione alla cinepresa.

Tra i suoi marchi di fabbrica, tutti trucchi usati più o meno spesso al fine di enfatizzare qualcosa che sta accadendo in scena (quindi accrescendo la suspense), impossibile non nominare lo split diopter, uno speciale effetto che consente di mettere a fuoco sia il soggetto in primo piano che lo sfondo, lo split screen, col quale ci racconta la stessa scena da due punti di vista diversi oppure due scene distinte che si stanno svolgendo contemporaneamente in luoghi diversi, e soprattuto l'uso dello slow motion, fondamentale per amplificare l'importanza di un dato momento narrativo, accentuandone l'emotività.

Sono fili conduttori ricorrenti che legano insieme l'intero body of work dell'autore, da Il Fantasma del Palcoscenico a Omicidio a Luci Rosse, da Gli Intoccabili a Omicidio in Diretta, che però in Blow Out raggiungono lo stato dell'arte non per il semplice fatto di essere presenti tutti insieme - successo anche in seguito - come a voler ribadire la natura di film manifesto, ma soprattutto per l'incredibile specificità che il loro uso conferisce all'opera, differenziandola sia da tutti i progetti del cineasta, sia dai lungometraggi più o meno simili arrivati prima, come La Conversazione di Coppola e Blow-Up di Michelangelo Antonioni.

Up & Out

Citando Halloween (leggi: recensione di Halloween) ma anche ripartendo dal finale di Vestito Per Uccidere (film precedente uscito solo l'anno prima, nel 1980), De Palma inizia il suo film su un set cinematografico (lo avrebbe rifatto altre volte, una fra tutte Omicidio a Luci Rosse) ingannando il pubblico e portandolo in un'opera che non si aspettava di vedere: quando tutto diventa chiaro capiamo che siamo sia al cinema che nel cinema (un'ossessione per l'autore confondere le due realtà), con un ex poliziotto rimediatosi sound designer per film di serie z che assomiglia incredibilmente a quel John Travolta che quattro anni prima (1977) aveva sfondato Hollywood con la mega-hit La Febbre del Sabato Sera (un anno dopo l'apparizione in Carrie, sempre di De Palma, nel '76): eccolo che, ovviamente in una sequenza in split screen, riordina i suoni registrati, col processo di taglio ed etichettatura delle bobine di effetti sonori giustapposto al passaggio in televisione del notiziario.
De Palma divide l'attenzione di chi guarda tra il contesto del film e il suo personaggio principale, stabilendo fin da subito le due chiavi per accedere all'opera. L'intreccio, infatti, pregno della paranoia e della suggestione per bieche macchinazioni politiche varie ed eventuali derivate dallo stress post-traumatico che affliggeva gli Stati Uniti post-scandalo Watergate, porterà il protagonista in un mondo oscuro nascosto sotto la superficie rassicurante dei titoli di giornale, tra le cui righe si nascondono cospirazioni inimmaginabili.
Dentro l'autore ci butta di tutto: dall'assassinio di JFK a Blow-Up di Michelangelo Antonioni (la somiglianza dei titoli sarà però una coincidenza, a detta di De Palma, anche se non può esserlo la modifica dell'oggetto dell'indagine metacinematografica, che dalla fotografia passa al sonoro), da La Conversazione - che però aggira gettando il suo copione nel mondo del cinema, e non in quello delle intercettazioni - a Tutti Gli Uomini Del Presidente, da I Tre Giorni del Condor a L'Occhio Che Uccide, ovviamente passando tutto a fil di Sir Hitchcock.

Blow Out vuole essere la massima rappresentazione di uno dei temi cardine della filmografia depalmiana, la sottomissione dell'individuo di fronte a un mondo irrimediabilmente compromesso, al punto che perfino l'ottenere una prova tangibile del complotto che si vuole smascherare (che ricorda quello che andava cercando il Lloyd di Gerrit Graham in Ciao America) non basta in alcun modo a sventarne la minaccia.
Jack sarà completamente travolto dagli eventi, i suoi sforzi non riusciranno minimamente ad alterare lo status quo che ha svelato, e addirittura in chiave nichilista l'identità dei cospiratori rimarrà praticamente sconosciuta, come a dire che nessuno è colpevole e che sono colpevoli tutti.

Uno spietato nichilismo

Con Blow Out De Palma sembra voler interrompere l'eterna rincorsa verso l'opera del suo maestro Hitchcock e iniziare un'altra gara, quasi opposta per certi versi: citando il finale di Notorious - L'Amante Perduta (1946), quando Cary Grant riesce a salvare la vita di Ingmar Bergman dopo che con estremo cinismo l'aveva consapevolmente messa in pericolo spingendola a intrufolarsi nel covo nemico, De Palma prende il suo tecnico del suono e dalla realtà cinematografica di metà anni '40 lo cala nell'era moderna revisionista, facendolo fallire.
Certo gli omaggi a Hitchcock non si fermano qui (si va dalla a giustapposizione di immagini patriottiche a quelle di spionaggio come in Intrigo Internazionale agli inseguimenti disperati attraverso folle di anonimi passanti che ricordano sia Il Prigioniero di Amsterdam che L'Altro Uomo), ma quello più significativo arriva proprio nell'atto finale, perché ne ribalta la fonte di ispirazione: l'eroe in Blow Out diventa infatti la causa principale della morte della sua amata (Nancy Allen, che aveva recitato proprio al fianco di Travolta sempre nel succitato Carrie), una condizione di angoscia insopprimibile che con perversa spietatezza dal personaggio si estende allo strumento che lo rappresenta.

Nel primo atto lo abbiamo visto faticare terribilmente per trovare un urlo sufficientemente adeguato per doppiare quello scadente della pessima attrice di un film al quale stava lavorando, ma nell'epilogo finirà con l'utilizzare il vero, ultimo grido della sua Sally, lanciato (e registrato) poco prima della morte di lei.
È un'idea fortissima questa, terribilmente malinconica e oscura dalle molteplici chiavi di lettura: celebrazione del potere che solo il cinema ha di conservare il corpo (in questo caso la voce) di una persona esistita davvero nella nostra vita e non solo in quella dello schermo, impossibilità di sfuggire a un senso di colpa lancinante, ma soprattutto - in chiave decadentista - la condizione maledetta del cineasta, condannato a cercare (e trovare) l'ispirazione per alimentare la magia della sua arte anche - o meglio soprattutto - nelle proprie tragedie.

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