Everycult: Batman di Tim Burton

L'Everycult della settimana è Batman, film del 1989 diretto da Tim Burton e interpretato da Michael Keaton e Jack Nicholson.

Everycult: Batman di Tim Burton
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Con oltre 400 milioni di dollari in tutto il mondo, Batman di Tim Burton nel 1989 divenne il titolo più visto negli Stati Uniti d'America, battendo addirittura Steven Spielberg e Indiana Jones e l'ultima crociata: ha del poetico che un film così oscuro fece sorgere l'alba del cinecomic.
Non che non ce ne fossero mai stati prima - anche concentrandoci solo sulla figura di Batman, già nel 1966 era uscito Batman: The Movie di Leslie H. Martinson, legato alla serie tv di Adam West - ma con questo lungometraggio la Warner Bros. iniziò a intravedere le serie potenzialità che i personaggi dei fumetti rappresentavano per il cinema e che oggi sono letteralmente esplose. E il cavaliere oscuro, con la sua Gotham City calderone di problemi e specchio contorto della nostra società, ha dimostrato nel corso degli anni che quelle potenzialità sono infinite.
Con un sequel diretto (Batman - Il ritorno, sempre di Burton) e tantissime altre iterazioni (Batman & Robin, Batman Forever, la trilogia di Christopher Nolan, la saga di Zack Snyder con Ben Affleck e il nuovo reboot di Matt Reeves con Robert Pattinson), l'uomo pipistrello sarebbe diventato il supereroe più riproposto al cinema: ma tutto ebbe inizio con Tim Burton.

Pallido plenilunio

A un certo punto del film c'è un momento emblematico in cui il Joker di Jack Nicholson irrompe in un museo di Gotham per farsi beffe - leggi: vandalizzare - capolavori dell'arte classica e moderna. Pare quasi di assistere a una rievocazione storica, una incentrata su un generale di un esercito conquistatore che ordina ai suoi soldati di buttare giù le statue del popolo avversario appena sottomesso per cancellarne la cultura, l'eredità, l'arte che è testimonianza del loro periodo sulla Terra.
Ecco, nello studiare oggi il Batman di Tim Burton quel momento sembra racchiudere, nei suoi brevi e fulminati attimi, la dichiarazione di guerra di un genere non ancora nato (il cinecomic) nei confronti del cinema mainstream.
Da lì a qualche anno Hollywood sarebbe stata invasa e conquistata dai cine-fumetti e il film di Burton sembra il dado tratto in un momento insospettabile del tempo, prima che opere come Logan, The Winter Soldier e Joker (guarda caso) arrivassero a depredare i classici del cinema del passato per costruirci sopra nuove mitologie.

È un po' lo scopo dell'insostituibile ed emblematico Jack Nicholson: l'attore, che con questo ruolo divenne il più pagato della storia del cinema (allora) e ottenne una nomination ai Golden Globe - aprendo la strada alle future vittorie di Heath Ledger e Joaquin Phoenix per lo stesso ruolo - interpreta non a caso un artista anarchico.
Il suo obiettivo - ce lo dice lui - è quello di reinventare l'immagine e il gusto. Burton, da sempre interessato ai freak, è chiaramente attratto molto più da Joker che da Batman: del Bruce Wayne di Michael Keaton il film non ci dice quasi niente, e quando lo fa è per svelare qualcos'altro in più sul personaggio di Nicholson (tra l'altro nell'edizione italiana doppiato come sempre magnificamente dal solito Giancarlo Giannini).
E non è difficile rivedere lo stesso Burton nel Joker, un genio creativo che a Gotham City trova terreno fertile per sprigionare la sua macabra fantasia.

Io sono Batman

Tim Burton lo avrebbe definito un film dadaista, un'opera che nel suo pot-pourri di stili e influenze va a citare di tutto: dall'art nouveau spagnola all'architettura nazista del Terzo Reich, dal costruttivismo russo ai fumetti di Alan Moore (Batman: The Killing Joke) a quelli di Frank Miller (Il ritorno del cavaliere oscuro), ma re-immaginati sotto un'ottica alla Edgar Allan Poe.

La Gotham City burtoniana è una megalopoli oscura, neo-gotica e cartonata, in anticipo di un anno su quella formosa e ancora più estrema del Dick Tracy di Warren Beatty (che avrebbe goduto di maggiori fortune agli Oscar, vincendo ben tre statuette su sette nomination a differenza di Batman, che vinse un solo premio su una sola candidatura) per la cui realizzazione si rievoca la Metropolis di Fritz Lang mescolata ai grattacieli di Chicago.

Stracolmo di invenzioni scenografiche e riferimenti pittorici (merito del lavoro di Anton Furst e Peter Young, la cui arte semplicemente invade il profilmico), Batman è anche carico di insospettabili rimandi cinematografici.
Burton, all'epoca con soli tre film alle spalle (Frankenweenie, Pee Wee's Big Adventure e Beetlejuice), si diverte a citare Quarto Potere di Orson Welles (impossibile non notare la gigantografia di Harvey Dent alle spalle di Billy Dee Williams), l'horror Occhi senza volto di Georges Franju e il noir di Fritz Lang Il grande caldo, rifacendo perfino il verso a Vertigo di Alfred Hitchcock al momento dell'inseguimento nella cattedrale di Gotham.
È in questa sequenza che i due protagonisti del film, Joker e Batman, si incolperanno a vicenda di essere l'uno la causa dell'altro: chi ha generato chi? È già il concetto di avvicendamento che lega i cult degli anni '70 ai cinecomic di oggi, che guardano al passato come Bruce Wayne e Jack Napier per trovare una loro nuova identità nel presente.

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