Everycult: Avengers: Infinity War di Anthony e Joe Russo

Con l'arrivo di Avengers: Endgame ormai alle porte, l'Everycult della settimana è dedicato all'epocale Avengers: Infinity War.

Everycult: Avengers: Infinity War di Anthony e Joe Russo
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Diciannovesimo film di una delle operazioni cinematografiche più innovative di tutti i tempi, Avengers: Infinity War di Anthony e Joe Russo si è imposto fin dal giorno stesso della sua uscita come zeitgeist della cultura pop, un capolavoro di proporzioni epiche figlio di una produzione lungimirante. Grazie agli sforzi visionari del produttore Kevin Feige, che nel 2009 con Iron Man di Jon Favreau aveva scommesso tutto (contro tutti) e vinto senza riserve, il Marvel Cinematic Universe è giunto a un punto di non ritorno, trascinandosi dietro l'intero genere di riferimento e mostrandone tutte le (infinite) possibilità, dal divertissement alla tragedia passando per tutto ciò che c'è in mezzo, azione blockbuster e tornaconto economico da capogiro inclusi.

Nulla di simile, anche solo in meri termini logistici, era mai stato tentato prima: un cast gargantuesco ("capita di rado di poter usare questa parola", per citare un altro genio rivoluzionario del cinema) formato dalle più grandi star del pianeta, riunite insieme da una sceneggiatura di svizzera precisione e tedesca puntualità, per la sua capacità di fondere insieme i diciotto capitoli precedenti e ritagliare il giusto spazio a ognuno dei protagonisti, schierati per la prima volta tutti insieme sotto l'enorme e massiccia ombra di Thanos, villain completo e stratificato dotato di un'umanità inedita grazie allo sforzo congiunto di Josh Brolin e dei rivoluzionari effetti speciali in motion capture delle leggendarie Industrial Light & Magic, Framestore, Weta Digital e DNEG.
A pochi giorni dall'uscita del sequel Avengers: Endgame, che chiuderà tutti i conti in sospeso lasciati aperti in undici anni di narrazione continuativa, la rubrica Everycult non poteva esimersi dallo stimolare sadicamente l'hype dei lettori di Everyeye rivisitando la prima parte dell'opera dei Russo, Infinity War, vero e proprio classico moderno del sottogenere cinecomic e della fantascienza al cinema tutta.

Mente e Spazio

Viene il dubbio che per tutto questo tempo, dal 2008, dall'uscita del primo film con Robert Downey Jr., mr. Feige sia stato effettivamente in possesso di un suo personalissimo Guanto dell'Infinito (munito di tutte e sei le Gemme), considerata l'efficacia con la quale ha partorito e portato avanti un progetto editoriale così specifico e focalizzato, conosciuto ora e per sempre come Marvel Cinematic Universe.
Del resto c'è bisogno di tanta Mente per far sì che ogni tassello/film mostrato in precedenza possa arrivare, ad anni di distanza, a incastrarsi con tanta precisione nel quadro generale definitivo, uno Spazio prestabilito che è sempre stato lì ad aspettare di essere composto: è questa l'impressione che si ha nel guardare (e riguardare, e riguardare, e riguardare) Avengers: Infinity War, non tanto quella di una conseguenza derivata da strategie escogitate e/o improvvisate strada facendo in base al successo di questo o quel film, quanto piuttosto di una predestinazione deterministica stabilita a priori da un demiurgo sconosciuto (per i personaggi, non per noi pubblico) e infallibile.

Un destino segnato, che cerchi di evitare ma che arriva comunque (parola di Thanos), che sceglie di ambientare l'atto finale del film in un luogo geografico (il Wakanda) presentato ai fan solo qualche mese prima nel corso di un film (Black Panther) sul quale prima dell'arrivo dei numeri del box office non c'erano certezze in termini di accoglienza o aspettative; o che introduce il proprio villan nel capitolo originale di una space opera un po' mattacchiona (Guardiani della Galassia) uscita quattro anni prima e affidata a "un tizio fuori di testa" (James Gunn) proveniente dalle carneficine nonsenso di casa Troma. Dettagli michelangioleschi in un affresco di guerre infinite.


Potere e Realtà

La Realtà è quella alternativa dei supereroi, un mondo fino ad allora apparentemente ideale nel quale il bene aveva sempre trionfato sul male, dove la risata era sempre stata ben accetta e la battuta sempre pronta, in cui si erano affrontati pericoli e combattuto battaglie ogni volta giustissime, la convinzione di aver avuto sempre ragione. Ma quando quella stessa Realtà finisce nelle mani di chi crede in una giustizia diversa da quella per cui ti batti tu, allora le cose possono cambiare.

È infatti nello scontro di ideali, ben prima che in quello fisico, che risiede il Potere di Avengers: Infinity War: il nichilista e sconvolgente schiocco di dita di Thanos è il gesto che racchiude una filosofia intera e che, reiterato tre volte nel corso del film, una per ogni atto (come a volerne enfatizzare la pericolosa efficacia), conduce a un ineluttabile e inaspettato senso di sconfortante impotenza, come non se n'era mai vissuta nel genere cinecomic, neanche nei meno colorati e più orgogliosamente dark Il Cavaliere Oscuro e Logan (nei quali l'eroe, al di là del prezzo da pagare, riusciva a finalizzare il proprio obiettivo).

Perfino in Watchmen di Zack Snyder, dove il nichilismo per la prima volta era stato fatto su misura di cinecomic, i protagonisti riuscivano comunque ad ottenere una vittoria totale, per quanto idealizzata e figlia di una menzogna: in Infinity War gli eroi, per la prima volta, perdono, e sonoramente.
Anche (anzi soprattutto) per via delle risate accumulate negli undici anni precedenti, Kevin Feige è riuscito a far sentire al mondo intero il peso della cenere nella quale gli Avengers si stavano trasformando di fronte ai nostri occhi, impotenti tanto quanto quelli dei pochi sopravvissuti.

Ed è attraverso le vecchie battaglie, anche quelle dirette da loro stessi, che la calibrata regia dei fratelli Russo è stata in grado di trasmettere la muscolosità e l'imponenza del pericolo rappresentato da Thanos, che stende Hulk con un paio di ganci (costringendolo a rintanarsi nel subconscio di Bruce Banner in quella che è una geniale metafora dell'impotenza sociale/gerarchica in risposta a quella psico-sessuale di Watchmen) e che viene costretto a spillare "una misera goccia di sangue" solo dopo estrema fatica da parte dei protagonisti.
Nella celebre posa da gruppo scultoreo di lacoontesca memoria immortalata dai Russo sul pianeta Titano, che ci spiegano quanto sia immane lo sforzo necessario anche solo a immobilizzare un essere tanto potente, c'è tutta l'essenza vigorosa dell'opera.

Anima e Tempo

Un'opera che, piazzandosi a metà strada tra Il Signore degli Anelli: Le Due Torri e L'Impero Colpisce Ancora, usando un trucco narrativo di hitchcockiana tradizione (quello tanto semplice quanto efficace del MacGuffin, rappresentato dalle Sei Gemme dell'Infinito), in due ore e quarantanove minuti di cinema d'intrattenimento semplicemente perfetto riesce a imbrigliare il Tempo (che forse sarà imbrigliato letteralmente nel capitolo successivo), sottraendolo dall'equazione.

Merito di un ritmo incalzante, scandito da un montaggio da orologiaio e una sceneggiatura esemplare, che sviluppandosi in quattro archi narrativi distinti ma interconnessi (e destinati a convergere) gioca contemporaneamente su tutte le sfumature dell'avventura e della fantascienza, mescolandole ai numerosi gradi di commedia sperimentati negli episodi precedenti, creando un'amalgama dalla specificità abnorme e dalla precisione infinitesimale.

Ma è nella propria Anima che il film trova una sua essenza irripetibile; un'anima gigantesca e travolgente che solo il cinema più totalizzante può arrivare a vantare. È infatti solo attraverso la tragedia che può avvenire il raggiungimento dell'epica, ed è proprio nell'epica che Avengers: Infinity War dimostra di essere diverso da tutti gli altri cinecomic arrivati prima di lui: a collegare i due generi ci sono due temi fondamentali, quelli del sacrificio e della morte, e l'opera dei Marvel Studios è pregna di entrambi.
Prima di Avengers: Infinity War i cinefumetti erano una cosa, e con uno schiocco di dita Kevin Feige ci ha mostrato che poteva essere molto di più: è fisiologico che con Endgame si tenterà di annullarne gli effetti, perché altrimenti sarebbe impossibile proseguire a battere una strada che è già arrivata all'Infinito.

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