Recensione Zohan - Tutte le donne vengono al pettine

E' pericoloso scherzare con lo Zohan!

Recensione Zohan - Tutte le donne vengono al pettine
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Hollywood e il Medio Oriente.

La questione Israelo-Palestinese è una sorta di tabù ad Hollywood per una serie di motivi abbastanza spinosi e scomodi. Com’è ben noto, la comunità ebraica è molto influente nella Città del Cinema californiana, tanto in termini produttivi, quanto creativi. Nomi come Woody Allen, Steven Spielberg, Melvin Kaminsky (meglio noto ai più come Mel Brooks), Avi Arad (fondatore degli ormai celeberrimi Marvel Studios) sono dei punti di riferimento imprescindibili per l’industria e hanno dato origine ad autentiche perle di storia del cinema: la nostra vita di cinefili non sarebbe, probabilmente, la stessa senza l’avventura del tenero E.T., senza gli scambi di battute fra Igor, che si pronuncia Aigor, e il Dottor Frankenstein, che, invece, va detto “Frankenstin”, o senza le domande esistenziali di un gruppo di spermatozoi pronti ad andare in missione.
Tale ascendente da luogo, però, a dei notevoli grattacapi quando si devono fronteggiare temi ardui come, appunto, i sanguinosi dissidi nel medio oriente. Se, da una parte, il cinema europeo, vuoi per una diversa sensibilità, vuoi per le differenti dinamiche di produzione, non è alieno dall’affrontare con una certa frequenza l’argomento della difficile convivenza fra ebrei e mussulmani, con opere di rara intensità e poeticità come “Monsieur Ibrahim et les fleurs du Coran” di Francois Dupeyron o “La Banda” dell’israeliano Eran Kolirin (prodotto con capitali franco/israeliani), Hollywood molto spesso elude queste vie tortuose e le polemiche che accompagnarono l’uscita del controverso, struggente e splendido “Munich” di Steven Spielberg, ricordano alle platee del mondo che certe dispute è meglio lasciarle trattare agli europei che, quanto a grancassa mediatica e a rientri delle spese sostenute, stanno esponenzialmente più indietro rispetto al mastodontico Sistema delle Major e si possono quindi permettere il lusso di esplorare territori off limit.
A tre anni di distanza dal film di Spielberg, ecco che la Mecca del Cinema tocca nuovamente, seppur velando il tutto col rassicurante e digeribile manto della commedia, l’ostica materia di cui sopra con “Zohan. Tutte le donne vengono al pettine” (Sic!), diretto da Dennis Dugan ed interpretato da Adam Sandler, autentico King of Comedy statunitense che ancora, nonostante diversi anni d’onorata carriera, stenta a far breccia nei cuori degli spettatori italiani.
Sarà questa la volta buona?

Il Rembrandt delle granate.

Sulla spiaggia israeliana di Bat Yam, il super agente del Mossad Zohan Dvir (Adam Sandler) si sta godendo un po’ di sano riposo esibendo il suo look da spiaggia a base di jeans corti, maglietta raffigurante Mariah Carey (!) e sandali d’ordinanza. Fra un ostentazione di mirabolanti palleggi di hacky sack capaci di suscitare effetti simil orgasmici nelle, naturalmente, bellissime bagnanti presenti sul litorale, gare di tiro alla fune dove riesce a sconfiggere da solo un gruppo di forzutissimi energumeni e non solo (tranquilli, non vi rovineremo la sorpresa rivelandovi quali altri atipici contendenti verranno battuti dal nostro energico protagonista) e abbondanti sorsate di aranciata Fizzy Bubblech lo spasso e il relax sembrano garantiti per Zohan. Tuttavia, mentre prepara in spiaggia, con una misé quantomeno osé, del pesce arrosto per lui, un suo amico e le loro sexy commensali, un elicottero dell’esercito israeliano atterra, interrompendo pranzo e vacanza: c’è di nuovo bisogno del suo aiuto perché il terribile terrorista palestinese Fatoush "Phantom" Hakbarah (John Turturro) è di nuovo in azione.
Zohan però è stanco di questa lotta sanguinaria e infinita. I suoi sogni, infatti, nascono e crescono fra le pagine di un catalogo anni ottanta di Paul Mitchell, fra le messe in piega alla moda, seppur di vent’anni fa, le cotonature improbabili e i tagli di capelli Avalon Style. Non vuole più seguire le logiche guerrafondaie e di vendetta che regnano fra il suo popolo e quello palestinese. Desidera solo rendere le persone “lisce come la seta” usando forbici e phon.
Quale miglior occasione per poter ricominciare da capo una vita che fingersi morto durante lo scontro con Phantom? Grazie all’aiuto del suo amico pellicano (!), riuscirà nel suo intento e, viaggiando nella stiva di un aereo passeggeri, sbarcherà nella Grande Mela, tenendo tutti all’oscuro della propria identità e provenienza. Da lì in poi, inizierà la sua ascesa come coiffeur lavorando presso il salone della bella palestinese Dalia (Emmanuelle Chriqui) di cui finirà per innamorarsi. I guai inizieranno tanto nel momento in cui verrà riconosciuto da un tassista palestinese di nome Salim (Rob Schneider) quanto a causa dei piani del businessman Michael Buffer, deciso a rimodernare tutto l’isolato attraverso la costruzione di un centro commerciale. E così, Zohan dovrà scontrarsi nuovamente con Phantom, divenuto nel frattempo titolare di una catena di fast arabian food. Ma gli esiti di ciò, potrebbero forse portare inattese conseguenze....

Ha una bomba! E i cuccioli!

Adam Sandler, a dispetto della sua quasi totale mancanza di consensi nel Bel Paese, rappresenta un vero e proprio punto fermo dello showbiz statunitense: quasi tutti i suoi film hanno superato la fatidica soglia dei cento milioni di dollari d’incasso ai botteghini stars and stripes. Condivide la stessa strana sorte di Will Ferrell, dato che quasi tutto ciò che tocca si trasforma in una gallina dalle uova d’oro, ma, come l’altissimo comprimario di diversi film con Ben Stiller e Owen Wilson, viene apprezzato all’estero più che altro quando si cala in contesti meno dichiaratamente carnascialeschi e più virati verso il cinema, per così dire, “impegnato” ("Punch Drunk Love" di Paul Thomas Anderson o "Reign Over Me" di Mike Binder), se vogliamo proprio usare una di quelle limitanti etichette tanto in voga quando si devono fare delle distinzioni manichee in ambito cinematografico.
Paradossalmente, questo "You don’t mess with the Zohan" (ringraziamo vivamente chi ha scelto lo “spiritosissimo” titolo italiano del film perché ha dimostrato ancora una volta che non c’è davvero limite al peggio), ha molto più in comune con la tragedia post 11/9 firmata Sandler/Binder piuttosto che con la becera commedia dei PACS "I Now Pronounce You Chuck and Larry" diretta sempre da Dennis Dugan e intepretata dal nostro golden boy in coppia con Kevin James, attore che merita affetto già solo per le divertentissime e goffe mosse di danza esibite in "Hitch" dove rubava più di una volta le luci della ribalta a quell'altro fabbrica verdoni di nome Will Smith.
La lavorazione del film, infatti, era già iniziata nel 2000, ma il tutto venne poi messo in stand by a causa dei tragici eventi accaduti nel settembre del 2001. Gli strascichi di quel giorno che ha segnato in modo profondo la coscienza collettiva statunitense, e non solo, si fanno sentire in più di una scena di questo Zohan in cui spesso vengono derise le paure che ormai albergano negli abitanti della grande mela, il timore originato dal fatto che solo perché una persona ha un colore della pelle un po’ troppo tendente allo scuro e una barba nera e crespa debba essere per forza un terrorista (un’angoscia già resa esplicita da Spike Lee e Russell Gewirtz in "Inside Man"). La base per una buona commedia di costume, quindi, ci sarebbe pure; il problema però, è costituito dal fatto che Sandler and Co. non hanno mai il coraggio di far crescere il counter della satira, non arrivano mai a viaggiare in sesta come invece è solito fare un altro Big Boy dello spettacolo Yiddish, quel Sacha Baron Cohen capace di lacerare ben più a fondo le ipocrisie del costante clima di paura e xenofobia in cui vive buona parte del mondo occidentale. Adam Sandler ha, se non altro, il merito di non riproporre in toto i soliti tratti distintivi dei suoi personaggi, sempre sbruffoni, fedifraghi e tendenzialmente bastardi, almeno fino al classico ravvedimento finale dovuto, per lo più, all’incontro con la donna della vita. Zohan Dvir è un adorabile e sognatore pushtak (una specie di punk israeliano tipico degli anni ’70 e ’80) che stravede per la discomusic, Mariah Carey, per dei tagli di capelli Paul Mitchell che ignora essere ormai fuori moda; dopo anni passati ad inseguire e catturare terroristi che vengono poi puntualmente rilasciati per via di qualche trattativa o scambio di prigionieri, desidera solo farla finita con questo clima d’odio regalando un look “setoso”alle persone per farle sentire meglio! Unico trait d’union con le altre performance, è l’incredibile ascendenza di Zohan sul gentil sesso: le sue ragguardevoli doti, messe ben in evidenza da una protuberanza inquietante che fa prepotentemente capolino nelle “parti basse”, manda in visibilio le attempate clienti del salone di Dhalia, tanto che ogni seduta si trasforma in una sorta d’amplesso allegorico in cui sono le bocce di shampoo ad eiaculare addosso alle entusiaste e soddisfatte avventrici.
Se, quindi, da un certo punto di vista, l’obbiettivo di deridere certe paure ormai endemiche è centrato solo in parte, è nella delirante assurdità di certe scene che Zohan colpisce appieno il bersaglio. Buona parte del film, è abbellita da quell’ironia iperbolica e dissacrante tipica delle migliori produzioni del trio Zucker/Abrahams/Zucker, tanto nelle scene d’azione (che parodiano quel parkour tanto in voga negli action USA in stile "Casino Royale"), quanto in quelle semplicemente dialogate in cui, solo per fare un esempio, i personaggi chiacchierano amabilmente nel salotto di casa mentre giocano ad hacky sack, usando una palletta davvero poco convenzionale.
Adam Sandler, seppur con una prova davvero in linea con le sue doti da comedian, non ha però il coraggio di aggiungere quel pizzico di cattiveria in più che gli avrebbe forse permesso un ulteriore salto di qualità e la sceneggiatura scorre via in modo del tutto prevedibile, così come alcune gag, semplicemente basate sui classici stereotipi razziali. Il cast di comprimari, regge bene il ritmo della vicenda. John Turturro riesce in maniera davvero mirabile a passare dal cinema indie a quello mainstream grazie al suo istrionismo sopra le righe, mentre le classiche spalle di Sandler, Schneider e Swardson fanno, come al solito, il loro dovere fornendo dei validi assist al protagonista (ed è proprio di un imbranato Schneider alle prese con una hot line per terroristi una delle scene più divertenti di tutto il film).
Nutrito il numero dei cameo, come spesso accade nelle pellicole di Adam Sandler: Henry Winkler, Mariah Carey, Kevin James, Gorge “Sulu” Takei sono solo alcune delle celebrità che faranno capolino in Zohan.
Ma la palma d’oro per la comparsata più caustica e corrosiva va al cantante Dawe Matthews. Vedere per credere.

Zohan - Tutte le donne vengono al pettine Poteva essere la definitiva consacrazione di Adam Sandler a comico di razza capace non solo di mandare in estasi i produttori dei suoi film in virtù degli stratosferici incassi che di solito garantisce, ma anche di colpire in maniera salace e sagace vizi e virtù della società post 11/9. Vuoi per il tema comunque “caldo”, vuoi, forse, per la necessità di dover rientrare dei costi sostenuti, la satira del supersoldato hairstylist Zohan non affonda il dito nella piaga e non riesce a far male, visto che il freno allo scherno viene sempre tenuto premuto. L’assurdità ai limiti del surreale e dello slapstick di alcune scene riesce però a risollevare le sorti di un film che ha sempre e comunque il retrogusto di un’occasione persa e non centrata appieno.

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