Recensione Zero Days

L'enesimo, ottimo lavoro d'inchiesta per l'oramai affermatissimo Alex Gibney indaga lo spettro inquietante di una cyber war iniziata dagli americani e che ora sembra inarrestabile: alla base di questo l'idea dei virus a Zero Days, impossibili da fermare.

Recensione Zero Days
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Il ‘flirt' tra Iran e Stati Uniti è uno di quelli di lunga decorrenza e legato a doppio filo a ragioni da sempre troppo ‘bollenti': sete di potere, denaro, controllo. Nel 1979 i rapporti sono estremamente conflittuali e a Novembre di quello stesso anno gli Stati Uniti mettono l'Iran sotto embargo. Nel 1986 sotto l'amministrazione Reagan sempre gli Stati Uniti vendono armi all'Iran (nonostante fosse, appunto, sotto embargo) per finanziare la guerriglia Contras. Negli anni '90 l'Iran ricambia il favore concedendo diritti per l'estrazione del petrolio a una società americana. Seguiranno altri scambi di apparente ‘solidarietà' anche all'indomani degli attacchi terroristici all'America. Nonostante ciò, e all'indomani di una serie di interazioni non altrettanto cordiali intercorse successivamente, all'incirca nel 2007 gli Stati Uniti decidono di boicottare gli investimenti iraniani nel campo del nucleare. Inizia dunque una nuova guerra. E come fa notare giustamente Alex Gibney in questo suo ultimo lavoro dal titolo Zero Days, se nei secoli scorsi le guerre si facevano con fanteria, cavalleria e poi anche marina e aeronautica, nel 20°/21° secolo alla dimensione della guerra si aggiungono l'internet e il virtuale, generando il quarto grande potere dei conflitti di nuova generazione, ovvero quello del cyber warfare. Così quest'ultima nuova guerra innescata (il verbo calza a pennello) dagli Stati Uniti ai danni dell'Iran ha assunto subito il carattere di un subdolo attacco al sistema computerizzato. La bomba moderna è infatti una di quelle che si sgancia in sordina e in maniera quasi invisibile sottoforma di malware, parola ai più quasi impronunciabile e incomprensibile. Organi governativi statunitensi collaborano insieme al fine di far elaborare un virus inarrestabile, così potente da diffondersi per proprio conto e senza necessità di essere diffuso, un virus di massima reattività descritto come Zero Days (a tempo zero), ovvero in grado di generarsi e infettare istantaneamente come da programma, e senza possibilità alcuna di arginarlo. Una volta lanciata questa operazione top secret celata sotto lo pseudonimo di Olympic Games e che ha dato vita al virus cosiddetto temibilissimo Stuxnet, il malaware è arrivato nei terminali che controllano i generatori nucleari iraniani determinando il collasso di numerose apparecchiature, ma senza lasciare alcuna traccia evidente del passaggio del virus. Tutto sembrava funzionare regolarmente e invece l'intero sistema era sotto attacco. Una vera bomba atomica capace di mutare il virtuale in reale, un codice di programmazione nella distruzione reale di cose, e persone. In un secondo momento il virus, già di per sé potentissimo, è stato ulteriormente modificato divenendo in grado di spingersi ancora oltre, tornando addirittura indietro (dai propri creatori) diffondendosi così a macchia d'olio da iniziare a infettare tantissimi sistemi informatici di società americane. Le quali, a loro volta, non sapevano che il virus era partito proprio dai ‘loro stessi piani alti'. Gli stessi americani sono stati a quel punto minacciati da un'arma che avevano creato ma che ora non erano in grado di controllare. Un paradosso sorprendente e inquietante che solleva quesiti sempre più temibili sullo stato di sicurezza dei nostri sistemi informatici (e non), delle nostre democrazie e delle nostre vite più in generale.

The New War

Alex Gibney racconta tutto questo con l'oramai collaudatissimo stile documentaristico di interviste (qui più che mai impazza il "non posso dire, non mi sento di rispondere"), ricostruzioni, analisi lucide e ficcanti, per rielaborare l'intero percorso secondo cui gli Stati Uniti hanno dato il via a una cyber war oramai sdoganata. Una guerra di hacker, codici, numeri, simboli, men che è ancora più drammatica delle guerre fino a oggi conosciute perché corre su frontiere invisibili, sotterranee, capaci di scegliere un obiettivo e mirarlo senza che nessun altro se ne accorga. Un'opera fiume dagli argomenti scottanti e dalle argomentazioni assai complesse che Gibney riesce (come di consueto) a chiarire e illustrare grazie alla sua chiara logica espositiva. Un altro vaso di Pandora aperto. A una velocità incredibile e sempre con la stessa straordinaria etica e capacità del giornalismo d'inchiesta Gibney sforna opere di incredibile lucidità che fanno luce su scandali di prim'ordine e che senza il suo contributo resterebbero del tutto sconosciuti. Mea Maxima Culpa: Silenzio nella Casa di Dio e We Steal Secrets: The Story of WikiLeaks tanto per fare un paio di esempi. Zero Days è dunque l'ennesima riprova (qualora ce ne fosse ancora il bisogno) del talento, dell'impegno e della determinazione con cui Alex Gibney scava all'interno di quella complessa rete di scandali che ogni giorno ci circondano, ma di cui troppo spesso siamo all'oscuro.

Zero Days Con Zero Days Alex Gibney realizza l’ennesima necessaria pagina di giornalismo investigativo a mezzo cinematografico. Dopo le vergogne ecclesiastiche, lo scandalo di WikiLeaks, le rivelazioni su Scientolgy, Gibney affronta il tema oramai pressante della cyber war, sdoganata dagli americani con Stuxnet e pronta da un momento all’altro a travolgere il mondo con una guerra informatica atomica. Opere che nutrono sotto ogni puntio di vista la nostra necessità di sapere.

7.5

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