Recensione Yattaman - Il film

Lo Yattaman di Miike diverte, ma non convince del tutto

Recensione Yattaman - Il film
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É purtroppo piuttosto raro trovare nei nostri cinema produzioni nipponiche, a meno che non si tratti dei soliti tre-quattro mostri sacri. E, spesso, anche in questi casi si tratta in sostanza di vere e proprie opere di 'ripescaggio' quasi fuori tempo massimo. Come nel caso di questo Yattaman, che siamo tuttavia felici di accogliere nei nostri cinema e sulle pagine di Movieye, sia per la stima che nutriamo verso il suo regista, Takashi Miike, che per il soggetto del film, uno dei cartoni più amati da almeno due generazioni.
Miike oramai non ha più bisogno di presentazioni, anche nel nostro paese: il suo stile visionario e violento lo ha reso per molti un vero e proprio regista cult, e film come Ichi the Killer, Dead or Alive e Sukiyaki Western Django sono idolatrati da migliaia di fan (tra cui annoveriamo, naturalmente, Quentin Tarantino).

Le esplosioni temporali della Tatsunoko, ovvero...Time Bokan!

Ma cosa dire invece di Yattaman? I trentenni di oggi ricordano ancora con estremo piacere i pomeriggi passati davanti alla tv a gustare le avventure proposte dalle Time Bokan, serie di cartoni animati prodotte dalla casa giapponese Tatsunoko (la stessa, tra l'altro, del Mago Pancione, Kyashan, Polymar e tanti altri celebri eroi degli anni '70/80). Yattaman è la seconda serie del franchise, che comprende, tra le altre, quelle da noi conosciute come Calendar Men e I predatori del tempo.
Una serie che vede tra gli autori nomi di spicco dell'animazione nipponica, come Yoshitaka Amano, Akemi Takada e Kunio Okawara, e che racconta le avventure del buffo e rocambolesco gruppo di ladri denominato Trio Drombo, dedito alla ricerca dei quattro frammenti della Dokrostone, pietra magica che si dice sia capace di avverare qualunque desiderio. Loro capo supremo è il misterioso Dokrobei, sedicente re dei ladri, che non esita a punirli in maniera ridicola ed esilarante ogni qual volta falliscano una missione. Ad ostacolare i loro bizzarri piani si ergono infatti due paladini della giustizia, Ganchan e Janet, che nelle loro identità segrete di Yatta 1 e Yatta 2 sconfiggono puntualmente i tre, costringendoli a tornarsene alla base con le pive nel sacco, in sella ad uno sgangherato tandem, e in attesa della loro proverbiale punizione.
I momenti salienti di ogni puntata sono l'immancabile truffa del trio ai danni di ignari passanti (volta a racimolare abbastanza soldi da poterci costruire un robot gigante ogni volta più assurdo) e lo scontro fra il mecha drombo della settimana e i robot a disposizione dei buoni, tra cui il più celebre è senza dubbio lo Yattacan, simpatico robottone parlante dalle sembianze vagamente canine.
Nonostante la produzione di ben altre sei serie delle Time Bokan successive a Yattaman, è proprio questa quella che più di tutte ha fatto breccia nei cuori del pubblico nipponico, ispirando innegabilmente le successive ma anche altre produzioni (è innegabile come siano state alla base dell'ideazione del Team Rocket nell'anime di Pokèmon, o del Foxy team nel celebre One Piece di Eichiiro Oda), e rendendo i suoi personaggi delle vere e proprie icone della Tatsunoko, ancora oggi, a più di trent'anni di distanza, come dimostra la trasposizione di Miike.

Anche un maiale può salire su un albero quando viene adulato!

Gli adattamenti cinematografici, si sa, modificano qualcosa dell'opera originale per definizione. Cosa c'è, allora, di diverso nell'opera di Miike? Quali sono stati i cambiamenti rispetto all'originale?
Con sorpresa e sollievo (poiché i cambiamenti, anche quando fatti con coscienza e senno, sono sempre un colpo al cuore per i fan, vedasi Kyashan - la rinascita) possiamo felicemente affermare che Miike non ha apportato alcun cambiamento ai personaggi o alle dinamiche fra di loro, nel suo film. Durante la pellicola potremo assistere alle truffe del Trio, alle lavate di capo da parte di Dokrobei, ai buffi siparietti tra i personaggi e soprattutto ai demenziali combattimenti fra robottoni, marchio di fabbrica della serie, con un look assolutamente fedele all'originale. Il regista si è limitato ad apportare il suo personale (quanto, forse, inappropriato al contesto) stile in alcune scene, e ad introdurre i personaggi della fragile Shoko e di suo padre, l'avventuroso archeologo Dottor Kaieda, la cui salvaguardia sarà la “missione aggiuntiva” degli Yattamen in questo film.
Per il resto, possiamo affermare che il restyling visivo dei costumi è perfettamente riuscito, ricalcando quelli originali ma senza farli sembrare ridicoli, ma anzi moderni grazie anche agli inserti in pelle sicuramente graditi e voluti da Miike. Anche il mecha design è di tutto rispetto, e Katsuya Terada, designer del film, merita certamente un plauso per questo, come lo meritano del resto Ikuro Fujiwara e Masaaki Jinbo, autori delle musiche e delle reintepretazioni dei classici (e orecchiabilissimi) temi e delle canzoni dei personaggi.

La versione italiana

La versione italiana è curata dalle Officine UBU, che hanno generalmente svolto un buon lavoro, anche se dall'impronta forse un po' televisiva. I doppiatori scelti per il film sono tutti professionisti di provata esperienza e capacità, e non stupisce che siano stati scelti per lo più doppiatori abituati a lavorare con gli anime giapponesi. L'adattamento segue la storica versione italiana del cartone animato, quindi i nomi sono quelli adattati in italiano (ad esempio il robottino di Ganchan viene chiamato Robbie Robbie) ma è una cosa tutt'altro che fastidiosa, visto anche che quello di Yattaman era uno dei migliori doppiaggi e adattamenti dell'epoca.
Appare però quantomeno curioso il linguaggio spesso gergale adottato dai personaggi, volto forse a rispecchiare quello originale giapponese, usualmente difficile da rendere in una lingua così diversa come l'italiano. Tuttavia, sentir dire “abbiamo fatto una figura da cioccolatai” o “ti infiocchiamo” (ed è giusto un assaggio!) suona assai bizzarro.

Pedissequo e personale al contempo come solo Miike può esserlo

Da un lato non si può che applaudire alla geniale arte visiva di Miike, capace di dare una sua personale -ma quasi impalpabile- impronta al design di personaggi e scenari pur rimanendo grandemente fedele alla serie animata del '77.
Costumi, ambientazioni, macchinari: tutto è realizzato con estrema cura, e la computer grafica, seppur non certo a livello delle produzioni statunitensi, è assai gradevole da guardare. Il film è inoltre costellato di citazioni da altre opere minori made in Tatsunoko, per la gioia dei fan che riusciranno a scorgerle.
Dall'altro si rimane un po' storditi da alcune scelte registiche e di sceneggiatura. I personaggi di Shoko e del dott. Kaieda, ideati da Tatsuo Yoshida e Masashi Sogo, difatti, appaiono incredibilmente piatti, banali e sostanzialmente inutili: sforbiciarli dalla sceneggiatura sarebbe stato solo un bene, visto, tra l'altro, che le scene che li vedono protagonisti sono tra le più lente e prive di mordente di tutto il film (ed inoltre i loro interpreti, Anri Okamoto e Sadao Abe, non brillano certo per espressività). In secondo luogo, non si capisce bene dove Miike voglia andare a parare, con un film palesemente troppo lungo per la storia che vuole narrare, e soprattutto con il suo particolare approccio a tematiche da sempre nel mirino del regista, ovvero sesso e violenza. Nell'anime i combattimenti, pur ricchi di armi potentissime, finivano sempre in maniera ridicola, coi cattivi coi capelli cotonati e i vestiti sbruciacchiati. Una violenza da Tom & Jerry, insomma, decisamente distante dagli exploit pulp a cui Miike ci ha abituati. E difatti il buon Takashi si adegua e sta al gioco, manco fosse Rodriguez in uno dei suoi Spy Kids. E fin qui tutto bene.
Ma allora perché non restituire a Miss Dronio il suo vero sex appeal (ben supportato, tra l'altro, da una splendida Kyoko Fukada ad interpretarla)? I contenuti pseudo-erotici vengono invece dispensati da un paio di scene con Shoko e Janet decisamente fuori luogo. E mentre ci sorbiamo puritanissime bolle di sapone e schiuma iper-persistente nella scena del bagno di Dronio, ci tocca assistere all'amplesso dello Yattacan con una robo(te)ttona costuita dal geniale Boyakki, scena grottesca e quasi di cattivo gusto, ripensando inoltre al concept di base e a come venga questo, altrimenti, portato avanti.

Yattaman The Movie Le scene che si limitano a riproporre dal vivo le gesta del Trio Drombo e di Yatta 1 e 2 sono da encomio, e forse valgono da sole il prezzo del biglietto. Non si può, tuttavia, non restare con l'amaro in bocca per una storia che non decolla mai, ma anzi agonizza in certi punti, risollevati solo dalla bravura dei tre interpreti del Trio Drombo e dalla gioia comunque innata di vedere una riuscita rappresentazione live di uno dei più divertenti cartoni giapponesi di sempre. Forse Miike avrebbe dovuto osare di più, inserire il tutto in un contesto più organico, dare una svolta, se non dark, quantomeno più sensata alla storia. O altrimenti rinunciare del tutto a certe, sgradevoli e dannose, aggiunte, e lasciare tutto come niente più che un esercizio di -ottimo- stile. Di certo avrebbe potuto curare un po' di più il casting dei due Yattaman, non cedendo al richiamo degli idol del momento ma scritturando due veri attori, capaci di tener testa all'ottimo trio Kyoko Fukada-Kendo Kobayashi-Katsuhisa Namase.

6

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