X-Men le origini: Wolverine, la recensione del nuovo film con Hugh Jackman

Logan è tornato, nel nuovo spin-off di X-Men, troveremo di nuovo Hugh Jackman nei panni di Wolverine

X-Men le origini: Wolverine, la recensione del nuovo film con Hugh Jackman
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La genesi di un'aggressività multiforme

Le origini del mutante più amato degli X-Men stanno per essere svelate... Cosa ci riserverà il suo passato? Sarà fedele ai fumetti? E come si collegherà alla trilogia cinematografica magnificamente inaugurata da Bryan Singer (X-Men, X-Men 2) e proseguita in maniera meno riuscita da Brett Ratner (X-Men: Conflitto finale)? Non è facile rispondere a queste domande seguendo un solo punto di vista, per quanto ci sforziamo di essere obbiettivi. Essenzialmente perché deve dar credito ai lavori cinematografici - legandosi in qualche modo al primo X-Men - e dare conto ai milioni di appassionati divoratori di fumetti. Dunque, come conciliare le due cose? Appunto, non è semplice.
Intanto partiamo da una nota decisamente positiva: il film non insegue la spettacolarizzazione fine a se stessa (per lo meno non in maniera continuativa), né vuole imporsi come il nuovo Batman Begins. Dalle parole del regista Gavin Hood spese durante la conferenza stampa a Roma, si evince una volontà ben precisa: “La mia speranza è che il film non sia solo dark, ma abbia calore e un buon grado di umanità, perché Hugh ve ne ha messo davvero molta”. Almeno su una cosa siamo certi, Hugh Jackman è Wolverine. Come Christopher Reeve ha incarnato divinamente il Superman Donneriano ed Eric Bana ha conferito ad Hulk una sensibilità che non pensavamo potesse riflettere, Jackman ha fatto leva sulla sua incredibile somiglianza e prestanza fisica per incarnare al meglio la rabbia del personaggio. Non ci sono storie: chiunque un domani prenderà il suo posto dovrà fare i conti col suo passato.

Le origini cartacee: I comic book

Wolverine nasce nel 1974 da un'idea di Len Wein (testi) e Herb Trimpe (disegni), con la collaborazione di John Romita Sr. Appare per la prima volta in “The Incredible Hulk” n. 180 e immediatamente cattura l'attenzione dei lettori. Col successo cresce il personaggio e il suo background, e gli sceneggiatori fanno a gara per scriverne le storie. “Origins” è sicuramente la serie che ne svela i retroscena, in particolare il legame con Sabretooth e la verità sul progetto “Arma X”, da cui il film prende in parte spunto.

Origins.

Quindici anni prima che il Professor Xavier (Patrick Stewart) lo prendesse con sè (entrando di fatto negli X-Men), Logan (Hugh Jackman) era un boscaiolo mutante. Libero da qualsiasi preoccupazione e felicemente fidanzato, il suo istinto animalesco viene quotidianamente placato dall'amore che nutre per Kayla (Lynn Collins), e insieme, isolati dal mondo, vivono sul picco di una montagna.
Sabretooth (Liev Schreiber) intanto sta uccidendo tutti i mutanti che incontra sul suo cammino e non sembra chiaro il movente. Proprio una mattina pone fine alla vita di Kayla e per Logan la caccia all'assassino è aperta.
William Stryker (Danny Huston) nel frattempo porta avanti un programma segreto dal nome in codice “Arma X” e contatta Logan per coinvolgerlo in prima persona. Convinto di migliorare le sue potenzialità accetta, ma durante l'esperimento che gli donerà la copertura dello scheletro in adamantio, qualcosa sembra andare storto. Sopravvissuto, viene a sapere dei loschi piani di Stryker e si rende conto di essere stato una pedina sin dall'inizio...

Nessuno sfugge al proprio destino

Tre artigli retrattili; straordinaria capacità di autorigenerazione; un passato da rimuovere e un amore da ricordare. Wolverine non è solo cattivo, è una vera e propria macchina da guerra; perché per lui, la guerra, non è mai finita. Combattuto tra istintività e razionalità, i suoi geni lo hanno segnato più di qualunque altro legame umano. D'altra parte è un mutante, e come tale può vivere soltanto ai margini della società. Un malessere che il regista ha cercato di sviluppare basandosi sulla sceneggiatura di David Benioff, appassionato di fumetti di lunga data nonché uno dei più quotati scrittori di Hollywood.
Gavin Hood sin dai bellissimi titoli di testa ha reso tributo al dinamismo delle tavole disegnate, ponendo in particolare l'accento sul mito: un album fotografico che si focalizza sulle emozioni e sulle esperienze. Cruento, spietato e senza freni: la genesi del personaggio e del fratello Victor Creed (alis Sabretooth) crea discrepanze interpretative e ideologiche. Due bestie simili, irascibili e grintose, a cui tuttavia la guerra ha rimodellato la personalità in maniera differente. Il regista ha così tentato una via alternativa al solito scontro frontale - "Bene" e "male" sono solo concezioni astratte di un disegno ben più sfumato - infarcendo la narrazione di incipit sempre nuovi e momenti di reale sorpresa.
L'interpretazione di Hugh Jackman è convincente tanto quanto quella di Liev Schreiber, ma è Gambit ad impressionare. Questo accondiscendente rispetto verso la fonte non dura purtroppo a lungo, specie nella seconda parte dove si creano troppe amalgame e reinterpretazioni deludenti. La passione dello scrittore per i fumetti si trasforma così in una corsa alla citazione forzata: all'inserimento a tutti i costi di una carrellata eccessiva di comparse, di temi introdotti e poi dimenticati, tali da trasformare il film in una mera vetrina per conoscitori. Non manca di porre delle riflessioni così come non lesina una crescente spettacolarità dell'azione, ma in nessuno dei due casi arriva alla radice. Almeno Hood è stato di parola: pur riconscendone le imperfezioni, ha saputo intrattenere con stile. Scade prevedibilmente nella conclusione finale (con una scena del tutto inutile dopo i titoli di coda), ma dopotutto proviene da una filosofia cinematografica diametralmente opposta.
Spin-off riuscito se lo si prende come tassello autonomo dalla trilogia, meno se lo si analizza dall'interno. In ogni caso la voglia di squartare qualcuno aumenterà considerevolmente dopo la visione.

X-Men le origini: Wolverine X-men le origini: Wolverine non segna un importante salto qualitativo del franchise, ma ne migliora la profondità dopo il mezzo passo falso compiuto da Brett Ratner con X-Men: Conflitto finale. Lo spirito indipendente di Gavin Hood ha reso al protagonista un'identità diversa, legata si alla visione asciutta di Singer e ai fumetti Marvel, ma anche potenziato di una nuova energia. Il film è dark, cattivo; raccoglie e comprime parecchi personaggi di contorno per lasciare a Wolverine completa libertà di movimento. Rinnovato, ma riconoscibile, talvolta sbrigativo e spettacolare; le sue origini spiazzeranno pubblico e appassionati in virtù delle scelte più o meno condivisibili in fase di script. Tuttavia è fuori discussione la grinta e la brutalità con cui Hood ha infarcito questo primo spin-off della saga. E visti i margini di miglioramento, speriamo non sia neppure l'ultimo.

6.5

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