Recensione World War Z - Second opinion

Brad Pitt vs zombies?

Recensione World War Z - Second opinion
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Tra voci di corridoio, immagini pubblicitarie in anteprima, teaser e trailer, l'attesa è stata veramente tanta; soprattutto perché, in un'epoca come l'inizio del terzo millennio, il cui piccolo schermo è dominato da una serie televisiva di grande successo del calibro di The walking dead, ascoltare la notizia che annuncia la preparazione di una pellicola interpretata e prodotta dal sex symbol Brad Pitt e definita "il più grande film di zombi mai realizzato" contribuisce a porre non poco gli appassionati del genere (e non solo) in un non indifferente stato d'attesa.
L'inizio dell'operazione, però, va individuato in World War Z - La guerra mondiale degli zombi, ovvero un romanzo horror fantascientifico post apocalittico che, scritto da Max Brooks (figlio del Mel autore di Frankenstein Junior e La pazza storia del mondo), sfruttando l'artificio di una raccolta di interviste a testimonianza dei fatti, ha finito per catturare l'attenzione del protagonista-produttore, il quale ha dichiarato: "Cinque anni fa non sapevo nulla sugli zombi. Ora, io mi considero un esperto. Il libro di Max tratta il genere degli zombi come la causa di una pandemia globale, che si diffonde tanto rapidamente quanto il virus SARS a cui abbiamo assistito ultimamente. Cosa succede quando si oltrepassano i limiti? Cosa succede se ci rendiamo conto che tutto ciò che per noi è importante diventa completamente inutile? Cosa succede se le strutture del potere e le norme sociali vengono cancellate? Come faremo a sopravvivere?".

Marc of the zombies

Ed è sotto la regia del bavarese classe 1969 Marc Forster - autore di Neverland - Un sogno per la vita (2004) e dell'avventura bondiana Quantum of Solace (2008) - che il compagno di Angelina Jolie concede anima e corpo a Gerry Lane, ex impiegato delle Nazioni Unite che, bloccato nel traffico urbano insieme a moglie e figli, comincia a notare elicotteri della polizia in cielo e agenti che sfrecciano in motocicletta tra gli automezzi fermi, diversi dei quali finiscono coinvolti in incidenti.
Una situazione che lo porta prima ad intuire che non si tratta del classico ingorgo, poi ad accorgersi del fatto che le persone non esitano ad avventarsi ferocemente tra di loro, contagiandosi tramite il morso di un virus letale capace di trasformare gli esseri umani in creature irriconoscibili e aggressive.
Un virus che non tarda ad espandersi a livello globale e sulle cui sconosciute origini decide di far luce lo stesso Lane, soprattutto quando si comincia ad ipotizzare che l'epidemia possa sopraffare gli eserciti di tutto il mondo e arrivare a distruggere governi e popolazioni.

La guerra mondiale degli zombi?

Quindi, già dalle immagini emmerichiane di apertura, un elaborato che non può fare a meno di richiamare alla memoria, in chiave allegorica, quel certo clima da tensione da attentati terroristici che negli Stati Uniti, probabilmente, si vive ormai dal triste 11 Settembre del 2001.
Del resto, a partire da quel L'isola degli zombies (1932) di Victor Halperin che segnò ufficialmente l'inizio del cammino zombesco nell'universo della Settima arte, la figura del morto vivente è sempre stata, con ogni probabilità, quella più adatta ad essere sfruttata per concretizzare in ambito horror critiche-analisi di taglio politico-sociale; come testimoniato, tra l'altro, dal maestro assoluto del filone George A. Romero, il quale, tramite i suoi sei zombie-movie spazianti da La notte dei morti viventi (1968) a Survival of the dead - L'isola dei sopravvissuti (2009), ha sempre provveduto a porre le salme camminanti in stretta relazione o in contrapposizione ad aspetti della società come il consumismo, il capitalismo e il militarismo, ovvero tutti piccoli sostantivi che fanno da sinonimi alla grande, pericolosa parola "potere".
Ma, al di là di quella "Z" nel titolo che, in maniera evidente, ne comunica la presenza, possiamo considerare zombi i mostri di World War Z?
La storia vuole che i veri e propri zombi siano quelli che, tra leggenda e realtà, erano semplicemente schiavi neri tutt'altro che cannibali e caduti in uno stato letargico a causa di una potente droga capace di inibire loro le funzioni fondamentali del cervello, ma non quelle motorie, in modo da poterli rendere sfruttabili al massimo; mentre il cinema, soprattutto in seguito alle citate fatiche romeriane, ce li ha proposti per lo più nelle vesti di quelli che gli americani chiamano "Living dead", ovvero morti resuscitati affamati di carne umana e del tutto privi dei ricordi di quando erano in vita.

Parola di Marc Forster

I film sugli zombi li trovo molto affascinanti, nel senso che erano popolari negli anni Settanta, in un momento di incertezza e di grandi cambiamenti nella società. E ora, che stiamo ancora vivendo un momento di cambiamento e di scetticismo, gli zombi tornano in auge. Sono una grande metafora - che rappresenta una sorta di incoscienza, lo specchio di quello che sta accadendo nel mondo. Noi esseri umani, come specie è come se vivessimo in una sorta di inconsapevolezza, ma dobbiamo svegliarci.

Night of the living Brad

Allora, analizzando minuziosamente le creature portate sullo schermo da Forster, possiamo al massimo parlare di infetti di derivazione zombesca, diretti discendenti di quelli proposti da Danny Boyle in 28 giorni dopo (2002) e, molti anni prima, dal nostro Umberto Lenzi nel suo Incubo sulla città contaminata (1980).
Del resto, tra uno scontro sotto la pioggia e un'escursione in Sud Corea, dove pare che tutto abbia avuto inizio, più che lenti e dinoccolati, come vorrebbe la loro iconografia classica, li vediamo veloci e scattanti; fino alle emozionanti sequenze dell'attacco a bordo di un aeroplano ad alta quota (si saranno rifatti a Flight of the living dead: Outbreak on a plane, firmato sei anni prima da Scott Thomas?) e, soprattutto, della maestosa invasione a Gerusalemme.
Perché, con il movimento decisamente più presente rispetto al testo di Brooks, è chiaro che nel corso della circa ora e cinquanta di visione - comprendente nel cast anche il veterano David"The hurt locker"Morse ed il nostro Pierfrancesco Favino - si tenda a privilegiare la spettacolarità rispetto al lato horror; tanto che i consueti sbudellamenti a suon di effetti splatter, tipici del genere, risultano del tutto esclusi, man mano che assistiamo, invece, alle imprese d'azione portate avanti da Pitt.
Insomma, senza dubbio World War Z rimarrà nella storia dello zombie-movie per aver introdotto le impressionanti sequenze di massa (poche, in verità) mai proposte prima dallo stesso, ma sembra accontentarsi di rimanere un blockbuster tutt'altro che da vietare ai minori che, attraversato da un discreto ritmo narrativo, può vantare, almeno, una originale trovata finale.

World War Z Complici le maestose sequenze di massa concepite grazie ai notevoli progressi ormai attuati in ambito dell’effettistica in CGI, il film di Marc Forster è, senza dubbio, lo zombie-movie più spettacolare della Settima arte. Però, se siete in cerca di una pellicola in grado di strappare forti brividi a suon di immagini forti sguazzanti tra frattaglie e liquido rosso, è tutt’altro che il film che fa per voi, in quanto punta in maniera evidente sull’emozione da action-movie strizzando non poco l’occhio al grande pubblico delle famiglie. D’altra parte, la dichiarazione del protagonista e produttore Brad Pitt non lascia spazio a equivoci: “Questi zombi fanno paura come l’inferno e la riuscita del film credo faccia leva su molti fattori. Ma, soprattutto, è un passatempo estivo e, francamente, è una cosa che volevo fare per i miei figli”.

6.5

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