White Men Can't Jump recensione: il film Disney+ che saltella, ma non vola

Nel remake di "Chi non salta bianco è" la bellezza dello sport è intaccata da una debole sceneggiatura, riducendo così anche l'impatto della pellicola.

White Men Can't Jump recensione: il film Disney+ che saltella, ma non vola
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C'è qualcosa di ammaliante nel gioco del basket. In questa giostra fisica il cinema si è sempre più inserito, come un avversario che irrompe nella corsa al canestro con altrettanta maestria ed eleganza. Un corpo a corpo mai competitivo, ma armonioso, di due mondi lontani ora destinati a collidere e insieme esplodere in un barlume di successo. Da Space Jam (sicuramente uno dei migliori film in tecnica mista) all'intenso Adam Sandler ritrovato nella nostra recensione di Hustle, il mondo della pallacanestro si è sempre più distaccato dal ruolo di ambiente accomodante e contenitore tematico, per elevarsi a quello più prestigioso di co-protagonista. Campionario di talenti ed emozioni esacerbate dalla lente cinematografica, il basket entra con velocità sullo schermo, cattura l'attenzione dello spettatore, e si ancora al suo sguardo, tenendolo stretto a sé, come una palla tra le mani pronta a finire al centro del canestro.

Eppure, in questa girandola di adrenaliniche emozioni, la noia riesce comunque a fare il proprio ingresso: non più raccattapalle, o mascotte: filtrata dalla cinepresa di Calmatic, White Men Can't Jump è un giocatore tenuto per anni in panchina, ora inseritosi clandestinamente nella rosa dei convocati in campo su Disney+. Il suo è un tentato esperimento di restituzione adrenalinica dello spettacolo sportivo compiuto con affanno e fatica. Tra le fila di raccordi di montaggio uniti con fare canonico, vige un sostrato di possibilità poco sviluppate e/o sfruttate. Le seconde possibilità, il rilancio di una carriera messa in pausa per infortuni, o temperamenti eccessivi, l'amicizia oltre i pregiudizi, l'aiuto reciproco sono tutti temi sedimentati in terreni aridi, poco fertili, e per questo rimasti a seccare alla loro prima, prematura, fioritura. Manca quel cuore pulsante, quel battito adrenalinico che dona ritmo a un'opera destinata a trascinarsi, come un giocatore senza forze, lungo il bordo campo.

Rivisitare il passato

Era il 1992 quando uscì nelle sale Chi non salta bianco è. Un film pienamente figlio dei suoi tempi, quello di Ron Shelton. Nel pieno delle lotte intestine tra costa est e ovest, la pellicola trova nel basket il trait d'union tra aspirazioni personali, e abbattimenti culturali di pregiudizi figli di un territorio come quello statunitense.

Trent'anni dopo molti temi sono rimasti immutati, nonostante lo scorrere del tempo, nonostante il passaggio generazionale. Ed è proprio grazie a questa sedimentazione socio-temporale se la rivisitazione in chiave moderna dell'iconico film anni Novanta riesce a trovare su Disney+ un proprio spazio, celebrando ancora una volta la cultura dello streetball di Los Angeles. La superstar del rap multiplatino Jack Harlow fa il suo debutto come attore nel ruolo di Jeremy, un'ex star di questo sport la cui ascesa è stata bloccata dagli infortuni, mentre Sinqua Walls interpreta Kamal, ex promessa del basket che ha buttato via la sua carriera. Alle prese con relazioni incerte, pressioni finanziarie e gravi lotte interne, i due giocatori, apparentemente cosi diversi, scoprono di avere in comune più di quanto credano.

Salti in avanti, voli indietro

I bianchi non saltano, afferma il titolo di Calmatic, ma a essere incapace di saltare è soprattutto il film stesso. Tutto si limita a una sufficienza di sforzi: le riprese sono sguardi ampi, pronti a cogliere animi distinti, opposti nell'aspetto ma cosi simili nella sostanza, privandosi troppo spesso di slanci creativi capaci di donare innovazione a inquadrature elementari e piatte.

Una mancanza di trasporto emotivo, esacerbato anche da performance attente alla portata sentimentale delle parole a loro affidate, eppure costruite su un'espressività basilare e una mimica poco impattante. Ci provano Harlow e Walls a tracciare un costrutto psicologico coerente e convincente dei propri personaggi, senza però riuscirci completamente. Crediamo ai passati dei due protagonisti, ai loro dolori e alle loro fragilità; ciononostante, non riusciamo del tutto a sentire nostre le loro emozioni: un ostacolo invisibile si frappone tra il pubblico e i protagonisti di White Men Can't Jump: è una barriera incorporea - eppure tangibile - che impedisce di azionare il processo di immedesimazione affettiva tra le due parti. Ciò che ne consegue è un allontanamento spettatoriale sempre più consistente, sostenuto da un background poco intaccato dei precedenti personali dei due protagonisti. Tutto scorre velocemente, superficialmente, senza profondità di indagine, o attenta introspezione nel mondo di White men can't jump finendo così per cadere rovinosamente a terra.

La bellezza trainante dello sport

È nel momento in cui la danza del basket (e dello streetball) si fa spazio nella cornice di immagini in movimento poco intaccate da battute effimere, che White men can't jump tenta il suo timido salto. Un volo pindarico che punta sul virtuosismo di atleti che danzano tra passaggi di palla e lanci a canestro, ma pronto a ridursi a un nulla di fatto non appena la partita finisce, la musica si spegne, e tutto ritorna allo stato primordiale di un film senza tensione, o forti emozioni.

Già, la musica: una componente trainante corpi afflitti dalla fatica. Un elemento che scuote con le proprie vibrazioni muscoli stirati, fisici scarichi, menti stanche. Una soundtrack che prende per mano lo spettatore e tenta di scuoterlo, in un'armonia perfetta con inserti sportivi di alta intensità, scariche elettriche che tentano di rianimare un cuore spento, stanco, fermo. Tenta di volare, White Men Can't Jump, ma quello che vive nello spazio dei propri raccordi sono tanti piccolissimi saltelli che lo portano distante pochi metri dal punto di partenza in un arco narrativo solo suggerito, tentato, ma mai veramente compiuto. Un tiro da tre metri poco misurato, destinato a concludersi in un lancio ambizioso, ma del tutto fuori campo.

White Men Can't Jump Il film diretto da Calmatic, rivisitazione del cult del 1992, Chi non salta bianco è, tenta di affidare alla potenza dinamica dello streetball il superamento di pregiudizi e le rinascite personali dei suoi protagonisti. Peccato che una volta che gli inserti sportivi vengono intaccati da una sceneggiatura debole e poco di impatto, tutto si affloscia e il salto tentato si riduce a un piccolo passettino in avanti.

5

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