We Can Be Heroes, la recensione del film Netflix di Robert Rodriguez

Il regista di Spy Kids espande l'Universo di Shark Boy e Lava-Girl con un film supereroistico interamente dedicato alla future generazioni.

We Can Be Heroes, la recensione del film Netflix di Robert Rodriguez
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Ci troviamo sulla Terra, plasmata ovviamente dall'immaginazione fanciullesca e plasticosa di Robert Rodriguez. A difendere il mondo da minacce interne ed esterne ci pensano gli Heroics, che nel nuovo We Can Be Heroes rappresentano un variopinto gruppo di supereroi capitanato da Miracle Guy (Boyd Holbrook). Insieme a lui ci sono anche Tach-No (Christian Slater), Marcus Moreno (Pedro Pascal), Kung-Fu Man (Sung Kang), Sharkboy e Lavagirl (Taylor Dooley) più altri personaggi. Il film però non parla di loro o delle loro fantastiche e sorprendenti azioni ma della loro caduta e dell'ascesa di una nuova generazione di supereroi, che non sono altro che i figli degli Heroics.

Non stiamo parlando di adolescenti ma di bambini dai 6 ai 12 anni, dunque ancora nella fase di pubertà e di iniziale scoperta di sé, un periodo che Rodriguez ha sempre amato affrontare sin dai tempi di Spy Kids e poi anche ne Il mistero della pietra magica. Proprio come nella saga fanta-spionistica che lo ha reso celebre a inizi 2000, il regista di Sin City torna a esplorare a suo gusto e modo il racconto di formazione pre-adolescenziale, consegnando in mano a dei ragazzini senza più delle guide il destino del mondo, che dovranno tentare di salvare da una grande minaccia aliena, cercando di collaborare e accollandosi responsabilità che i grandi non possono più affrontare.

Piccoli eroi crescono

Quando uscì nei cinema Le avventure di Sharkboy e Lavagirl in 3D, il mitico Roger Erbert disse che "la decisione di trasformare una fantasia infantile in un film in 3D fu un errore di calcolo", criticando poi anche aspramente il processo in tre dimensioni che all'epoca era proprio agli albori. Non fu l'unica critica negativa, anzi, in generale il titolo ricevette un'accoglienza disastrosa, ma questo non impedì al film di divenire un piccolo cult di genere rivolto soprattutto ai più piccoli. In sostanza, uscendo dall'esperienza Spy Kids, Rodriguez pensò bene di provare ad addentrarsi in territorio supereroistico, risultando di fatto uno dei primi autori a dirigere un progetto dedicato ai supereroi, anche se completamente inventati e non tratti da fumetti più o meno famosi.
A distanza di quindici anni, quando Netflix ha chiesto all'autore di confezionare un nuovo film per famiglie, il regista non ci ha pensato due volte a ripescare i supereroi, che nel corso di poco più di un decennio sono diventati "quello di cui tutti parlano, quello che tutti vogliono" - come dice proprio Rodriguez. Ed ecco nascere così We Can Be Heroes, progetto che potrebbe definirsi con estrema serenità l'opera di diabolica perseveranza di un genio provocatore.

Non sappiamo se sia un problema di deformazione culturale, lavorativa o personale, ma quando Rodriguez non dirige titoli come The Mandalorian o Dal tramonto all'alba viene fuori tutta la sua insensata spavalderia creativa e questo bambinesco modo di intendere il cinema. Non che sia sbagliato, sia chiaro: è giusto che esista qualcosa rivolto ai più piccoli e che tenti di formarli e di dargli potere, di farli immedesimare in personaggi o situazioni in cui possono ritrovarsi, ma quello che forse è sbagliato è spacciare qualcosa di estremamente blando, infantile e stantio per un titolo adatto anche al pubblico adulto di Rodriguez. Non è semplicemente così.

Sorvolando sulla pessima gestione dei tempi di commedia e azione e l'utilizzo di una CGI che sembra pongo e generalmente posticcia, We Can Be Heroes è nella sostanza una soap opera fanciullesca che non riesce a guardare oltre il suo stesso disagio cinematografico, fuori tempo massimo e dentro il suo tempo con il minimo. È impensabile perdere due ore di tempo davanti a un qualcosa di così incomprensibilmente sbagliato e accorpabile per sensazioni cringe ai nostri Me contro Te, a meno che non si abbiano 6 anni - ma in quel caso vale tutto.

La capacità critica di una mente ormai sviluppata non riesce però a ignorare il disastro scenico, registico e di scrittura del film, nato vecchio e sviluppato attorno a una tematica anche interessante (quella delle nuove generazioni che salveranno il mondo) che però è imprigionata dietro a sbarre di demenzialità artistica talmente robuste da essere indistruttibili.

Non si scappa dall'abisso qualitativo, insomma, ma le intenzioni di Rodriguez di base sono buone e non tradisce questo lato (a nostro avviso insopportabile) della sua poetica cinematografica. È un film da catalogo per bambini con un cast stellare sfruttato come pretesto per attirare gli adulti, e per altro è più un rip-off di Sharkboy e Lavagirl che un sequel, come viene poi invece spacciato. Semplicemente, l'autore ha preso quei personaggi e li ha inseriti in un contesto completamente differente, rendendoli di base reali. E se per Erbert non funzionavano quando erano fantasia, figurarsi ora che nell'era cinematografica dei supereroi sono diventati anche veri e genitori.

We Can Be Heroes Con We Can Be Heroes, Robert Rodriguez torna a quella poetica cinematografica infantile e fanciullesca dei tempi di Spy Kids, ripescando personaggi famosi e re-inserendoli al cinema - anzi, su Netflix - in un film per famiglie che vuole parodiare il genere supereroistico e incentrare la narrazione sui bambini, le nuove generazioni di eroi che salveranno il mondo. È un'opera di diabolica perseveranza stilistica di un genio provocatore che vuole parlare solo ed esclusivamente ai più piccoli, dargli potere e ignorare i grandi, sbeffeggiandoli. Va da sé come ogni parte del film, dalla scrittura alla regia, dalle scenografie alla CGI, sia interamente rivolta al solo target pre-adolescenziale, ma anche così non si può dire in linea di massima un prodotto riuscito, fuori tempo massimo e dentro al suo tempo con il minimo - e spesso errato - sforzo.

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