Recensione Warm Bodies

Warm Bodies: storia d'amore o di zombie?

Recensione Warm Bodies
Articolo a cura di

In giro ci sono moltissime leggende metropolitane (o quasi) che parlano di brevi pubblicazioni online che poi, grazie all'approvazione generale, si sono trasformate in best seller internazionali. Bene, quella che stiamo per raccontarvi è proprio una di queste storie. Warm Bodies è nato da un breve racconto di sette pagine, pubblicato online con il titolo Sono uno zombie pieno d'amore che, ricevendo consensi su internet da parte di un pubblico molto vasto, ha incoraggiato il suo autore Isaac Marion ad ampliarlo fino a farlo diventare il suo romanzo di esordio, pubblicato nel 2010. Ovviamente un evento del genere non poteva rimanere nascosto all'occhio sempre vigile del cinema che, poco dopo la pubblicazione del libro, si è messo in moto per l'acquisizione dei diritti e la realizzazione dell'adattamento cinematografico. Nemmeno tre anni dopo arriva sui nostri schermi Warm Bodies, il film che, un po' per la condivisione con la stessa casa di produzione e un po' per il benestare ricevuto da Stephenie Meyer, si è accaparrato un posto nella corsa (con già un bel po' di partecipanti confermati) al titolo di nuovo Twilight. E mente Nicholas Hoult (come potete leggere nelle dichiarazioni rilasciate a Roma) sottolinea tutte le differenze tra i due progetti, vediamo come se la cava il film nella difesa di se stesso.

R+J

Un misterioso virus ha attaccato la società contemporanea, trasformando gli esseri umani in veri e propri zombie. I pochi ancora vivi si sono isolati in zone sicure, protette da mura altissime e pressanti misure di sicurezza. Si potrebbe dire che più o meno la stessa cosa la stiano facendo anche gli zombie, che si sono ammassati all'interno di un aeroporto abbandonato. È qui che vive R (Nicholas Hoult): ancora giovane, più attraente di molti altri suoi conviventi, non ricorda nulla della sua vita passata, nemmeno il suo nome. Ma non si arrende, almeno non nella sua mente, perché dall'esterno è comunque un essere vagante senza meta come tutti gli altri. Almeno fino al giorno in cui, durante una retata di caccia, non si imbatte in Julie (Teresa Palmer) e resta fortemente colpito da lei. Forse spinto dall'aver ucciso poco prima il suo ragazzo Perry (Dave Franco) e averne mangiato il cervello, R decide -in barba a tutte le 'leggi' zombie- di non uccidere Julie e portarla all'aeroporto. Con il passare dei giorni la convivenza tra R e Julie produce sullo zombie degli effetti fino a quel momento impensabili, che lo portano a credere che quel legame possa realmente rappresentare la salvezza per l'umanità e i suoi simili. Un obiettivo però ostacolato dagli Ossuti e dall'esercito umano guidato dal padre di Julie, Grigio (John Malkovich).

E se non lo chiamassimo zombie?

Credo sia obbligatorio fermare in partenza tutti quelli che hanno già impugnato la propria arma preferita per andare a caccia di zombie. Si, in Warm Bodies ci sono gli zombie e fondamentalmente sono i protagonisti della pellicola, ma non si tratta assolutamente di un film di zombie. Più che altro potremmo catalogarlo tra quelle pellicole romantiche sull'amore impossibile, un po' alla Romeo e Giulietta. Cos'è un nome? Ciò che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo... e così R, anche se non lo chiamassimo zombie, avrebbe lo stesso ruolo e scopo. E il paragone con la più nota tragedia romantica shakespeariana non è certo un caso. I riferimenti alla storia di Romeo e Giulietta sono molto più evidenti nella trasposizione cinematografica che nel libro, ma già i semplici nomi dei due protagonisti li rievocano inevitabilmente. La sceneggiatura di Warm Bodies, scritta da Jonathan Levine a stretto contatto con Isaac Marion, è, per diretta ammissione del regista, stata elaborata come un mix tra Romeo e Giulietta e Frankenstein. Elementi che nella pellicola vengono fuori benissimo, soprattutto quando lo spettatore si ritrova davanti alla celebre scena del balcone...
Anche per questo bisogna tenere bene in mente che genere di film sia in realtà Warm Bodies. "Quando penso al film non lo vedo come un film di zombie. Lo vedo come un film di mostri che diventa una storia d'amore. Abbiamo lavorato all'interno del mito degli zombie, ma abbiamo usato questo mito come un mezzo per raggiungere uno scopo, come una scorciatoia per arrivare a qualcos'altro". Warm Bodies risulta come una ironica e piacevolissima storia d'amore poco convenzionale, anche se perfettamente in linea con i trend young adult del periodo. Se è vero che in alcuni momenti si cade nei classici cliché del romanticismo cinematografico, è anche vero che Levine costruisce una narrazione che non annoia mai e che dissocia se stessa con il sarcasmo. Il merito di tutto ciò è sicuramente della figura di R, interpretato dall'ex About a Boy Nicholas Hoult. Il suo è uno zombie che non ha quasi nessuna capacità verbale ed è proprio il contrasto tra il suo grugnitico silenzio e il caos mentale di emozioni e pensieri che lo spettatore percepisce tramite la voce narrante a creare quel contrasto che ti fa affezionare al personaggio. Così come racconta Nicholas, "La cosa più commovente di R è il suo bisogno di avere un contatto. Vuole stabilire un contatto con gli altri zombie dell'aeroporto, anche se questi non hanno niente da dire e non riescono neanche a pronunciare il loro nome. Vuole stabilire un contatto con Julie e sentirsi vivo. È uno dei più normali istinti umani, volersi sentire parte di qualcosa e creare un legame con gli altri esseri umani". Ed è proprio questa sua caratteristica a definire R non solo come il protagonista belloccio (seppur zombie) e romantico della storia d'amore portante, ma anche come il simbolo sociale del cambiamento, il portavoce di una critica sottotesto che il regista, approfittando dello scritto di Marion, lancia verso il mondo di oggi. Che cosa c'è di così diverso tra l'universo zombie e quello contemporaneo? Le differenze appaiono palesi in una delle scene iniziali, con il fashback nell'aeroporto...

Quando la storia d’amore diventa... TROPPO

“Marion è un autore disarmante, forte di un amaro senso dell’umorismo e di una scrittura vivida e cinematografica. Questo romanzo sugli zombie ha davvero un cuore”. Ecco come il The Guardian ha definito Warm Bodies, il libro di Isaac Marion da cui è tratto il film. E quando ci si trova davanti a un adattamento delle parole scritte per il grande schermo, i paragoni tra il materiale originale e il prodotto finale sono inevitabili. Jonathan Levine si è avvalso della collaborazione dell’autore per scriverne la sceneggiatura, ma alla fine cosa è diventato Warm Bodies? Perché, per quelli che hanno letto il libro, il film è palesemente qualcosa di diverso. I tagli vanno fatti, così come i cambiamenti e gli assemblaggi di personaggi e luoghi: è sempre stato così nella storia del cinema e non si può certo essere così utopici da credere che questa abitudine possa sparire. Quello che possiamo dirvi con assoluta certezza è che il senso generale, la morale principale della storia, è rimasto intatto. Warm Bodies non è il film di un altro R, ma non ha nemmeno tutti gli approfondimenti sociali ed etici della fonte. Per renderlo un prodotto più vendibile, Levine ha eliminato alcuni passaggi e personaggi (come quello della moglie di R, fondamentale nel dubbio che insinua il finale del libro), assottigliato il loro ruolo e ridotto quasi tutto all’interazione sentimentale tra R e Julie, trasformando fondamentalmente Warm Bodies in una storia più d’amore di quello che era in origine. Rimane l’ironia con cui si affronta il tutto, i grugniti, gli Ossuti e la dispersa speranza del genere umano... ma, nonostante funzioni benissimo per quello che si prefigge di essere, il film non riesce a sostenere il multistrato narrativo del libro di Marion che rimane, a tutti gli effetti, un’opera decisamente più complessa e motivata. Si potrebbe azzardare che quando l’inchiostro penetra nella carta ci si prenda un po’ più sul serio, in tutti i sensi.

Warm Bodies Se dissociamo Warm Bodies dalla tradizione del genere zombie, il film appare fresco, ironico, divertente e (addirittura) a tratti introspettivo. La mescolanza dei generi che lo costituiscono possono essere esplicati dalla collaborazione, all’interno della crew, dello scenografo Martin Whist, che nel suo portfolio ha Super 8 e Cloverfield, e il supervisore alle musiche Alexandra Patsavas, che ha lavorato in Grey’s Anatomy e Twilight. Progetti che tra loro non hanno nulla in comune? Jonathan Levine è riuscito a metterli insieme e a farli diventare Warm Bodies, dimostrando che forse, a volte, la mescolanza di generi potrebbe essere piacevolmente funzionale. Basta non prendersi troppo sul serio.

7

Che voto dai a: Warm Bodies

Media Voto Utenti
Voti: 12
5.7
nd