Waiting For The Barbarians è il volto violento della Storia

Ciro Guerra firma una potente e spietata metafora sull'imperialismo occidentale, sul male che regna tra gli uomini dall'alba dei tempi

Waiting For The Barbarians è il volto violento della Storia
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Tra i film più ingiustamente passati sotto traccia a Venezia 2019, vi è stato sicuramente Waiting for the Barbarians, del colombiano Ciro Guerra, tratto dal romanzo di J. M. Coetzee, che curò anche lo script di questa sorta di fantasy ambientato in un mondo tuttavia molto familiare alla nostra storiografia.

Probabilmente, il film soffrì di una scarsa promozione, così come l'essere arrivato alla chetichella proprio in chiusura di Biennale dove il terremoto Joker aveva monopolizzato l'attenzione (qui la nostra recensione di Joker). O forse, contò il fatto che dal punto di vista visivo così come semantico, fosse alquanto disturbante, cupo, difficile nella sua eloquente sincerità, per come sapeva parlarci della Storia, del concetto di crudeltà come strumento del potere e del dominio.

Aspettando la venuta dei Barbari

Ai confini di un non meglio precisato Impero, in uno sperduto avamposto di frontiera, il potere è nelle mani di un tollerante Magistrato (Mark Rylance) ormai vicino alla pensione. Questi è un uomo mite, che ormai si è abituato ai nativi, alla loro cultura e ai loro valori.

Negli anni, faticosamente, è riuscito a creare se non una vera e propria pace, almeno un clima di tolleranza o reciproca sopportazione con le tribù barbare dei nativi che abitano il deserto. Tuttavia, l'improvviso arrivo sul posto del crudele colonnello Joll (Johnny Depp) e del non meno sadico Ufficiale Mendel (Robert Pattinson), per indagare su una fantomatica rivolta imminente, sconvolgerà l'equilibrio che regna in quei territori, segnando l'inizio di un orrore indicibile. Solo, sempre più osteggiato dai suoi stessi uomini, il Magistrato si incamminerà in un'ultima missione, per portare in salvo presso la sua tribù, una ragazza reduce da torture e maltrattamenti di cui si è innamorato. Il tutto senza curarsi delle conseguenze sul piano personale e del clima di odio che si stringe attorno a lui. Tra torture, massacri, razzismo e una totale mancanza di empatia verso il proprio simile, in breve il protagonista si rivelerà essere l'unica, isolata, voce della ragione, in un mondo che collassa su se stesso, che cerca sistematicamente lo scontro e la violenza. Intanto armi alla mano, si continuano ad aspettare i barbari, senza sapere se arriveranno mai...

Un grande cast per un film metaforico

Il romanzo dell'autore sudafricano J. M. Coetzee. quando uscì nel 1980, ebbe un impatto enorme presso la critica ed il pubblico, che colsero immediatamente la straordinaria metafora storica, con cui Coetzee affrontava senza paura il tema della colonizzazione, dell'oppressione verso i nativi che nel suo Sudafrica era triste tradizione.

Waiting for the Barbarians, è fin dall'inizio estremamente fedele all'originale letterario. Ciro Guerra non dà alcuna tregua allo spettatore, intrappolato dentro ad un incubo sempre più claustrofobico. La sua regia sa passare con estrema disinvoltura da una dimensione intima, abbellita dalle scenografie di Crispian Sallis e Domenico Sica, alla valorizzazione della natura selvaggia e aspra del Marocco che fa da sfondo a questo dramma.
Su tutto e tutti, a dispetto della vulnerabilità e fragilità espresse dal suo personaggio, domina un bravissimo Mark Rylance, che con il suo solito stile recitativo in sottrazione, ci dona l'immagine dolente e disperata, di un uomo che assiste impotente all'umanità che massacra se stessa. A lui, fa da perfetto contraltare un Johnny Depp in stato di grazia, nel ruolo inedito di un villain fatto di sadismo, vigliaccheria e narcisismo, spalleggiato da un Robert Pattinson non meno inquietante. Sono loro due a darci assieme il ritratto fatto e finito della mediocrità del male che insanguina da sempre il mondo, come fece Ralph Fiennes in Schindler's List (ed eccovi larecensione di Schindler's List)

Waiting for the Barbarians rende palpabile ogni minuto che passa il concetto di conflittualità, non tanto causata dalle differenze culturali tra i nativi e conquistatori, quanto dalla contrapposizione generata dal sangue, dalla violenza, dal forte che massacra il debole. Questo è un film che riesce a farci arrivare la differenza tra la coscienza del singolo e quella della collettività. Esistono uomini illuminati, non esistono masse illuminate, esse sono, per definizione, la negazione del progresso morale, carne da cannone inconsapevole usata dal potere per quello che Kubrick definì "il feroce lavoro nel mondo".

La storia è scritta con il sangue

Evitando ogni retorica, ogni consolatorio momento di eroismo, Ciro Guerra ci parla di come gli Imperi, i sistemi di potere in generale, cerchino sempre e comunque una conflittualità esterna, per mettere in sottofondo lo squilibrio interno. Si tratta di un modus operandi che qui risulta chiaro: serve un nemico anche dove non esiste, per giustificare i soldati in armi, le divise, i piccoli patetici uomini investiti di un'autorità ingombrante, aggrappati al potere con una determinazione atavica.

Depp, Pattinson, dipingono con sapienza i loro personaggi, del tutto identici ai vari Priebke, John Chivington o Reginald Dyer, ai veri sacerdoti di una religione sadomaso mortuaria che trasforma il diverso in un alieno, lo esclude dall'appartenere alla nostra stessa specie. Ecco allora che il loro corpo del nemico diventa strumento per la conferma del nostro potere, creta nella mani dell'odio, carne su cui edificare l'identità come esclusione.

L'oppressione ha nomi diversi ma lo stesso volto, usa la paura come strumento di un controllo, di un dominio, che però questo film ci fa capire essere da sempre friabile, destinato alla sconfitta. Lo abbiamo visto nelle ex colonie dell'Occidente, pochi mesi l'Afghanistan, cimitero di tante colonizzazioni naufragate, ce l'ha ricordato ancora una volta: l'occupazione fallisce sempre, come Spielberg ci spiegò nella sua Guerra dei Mondi (ecco la recensione de La guerra dei mondi). L'Impero di Waiting for the Barbarians non esiste, eppure è il ritratto fatto e finito del Congo belga, della crudeltà dell'Inghilterra vittoriana nel globo, dell'Italietta massacratrice in Etiopia. Il male che facciamo ci sopravvive, è benzina per un fuoco che nulla può estinguere, che aumenta come le valanghe, si fa orda barbarica giustificata dal passato, frutto avvelenato di un albero di odio. Ecco perché questo è un film che tutti dovremmo vedere, perché nel suo spingere al limite la nostra sopportazione di fronte al male che domina, è portatore di una grande verità, immutabile ed eterna: la storia è scritta con il sangue, quasi sempre quello che si poteva evitare di spargere.

Waiting For The Barbarians Con Waiting for the Barbarians, tratto dal romanzo di J. M. Coetzee, Ciro Guerra tratteggia un doloroso ma coerente affresco storico, sulla crudeltà e arbitrarietà del potere che governa il mondo. Di grande impatto emotivo, esteticamente di pregevolissima fattura, grazie ad un cast di grande caratura appassiona, atterrisce, porta con sé il passo sanguinoso ed impietoso della Storia come prevaricazione, massacro arbitrario e illogicità. Un film metaforico di grande caratura e significato, un grande affresco sulla vittoria di Caino.

8

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