Recensione Volver

La vita, la morte, il ritorno nell'ultimo lavoro di Almodóvar

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Dalla Spagna con furore

Dopo l’excursus sull’universo maschile de La Mala Educación, Almodóvar torna a parlarci di donne, e lo fa con la sensibilità e l’ironia che gli sono peculiari e che abbiamo imparato a conoscere grazie a pellicole originalissime e coraggiose del calibro di Tutto Su Mia Madre e Parla Con Lei. Un coraggio che ultimamente sta dimostrando tutto il cinema spagnolo, con produzioni come Reinas, A Mia Madre Piacciono le Donne e Semen, capaci di guardare con occhio serafico e disincantato, ma senza mai dimenticare l’umorismo un po’ cinico, a problematiche attuali e un po’ “spinose”. C’è da sperare che anche il cinema italiano si allinei presto a questa positiva tendenza innovativa, nei modi come nelle tematiche, magari supportato anche da una politica di finanziamenti e distribuzione più illuminata.

Ci sono molte cose che dovrei sapere, e che non so...

Dicevamo, donne di nuovo protagoniste per Almodóvar: ma non sono solo le figure della sua infanzia ad animare questa leggera ma cruda narrazione, in cui convivono e si sovrappongono affetti familiari e scabrosi segreti, ma anche e soprattutto le atmosfere quasi surreali della terra natia, La Mancha, in armonico contrasto con Madrid e la sua urbanità. Ma forse il vero snodo del film sta tutto nella contrapposizione, spesso fuorviante, tra vivi e morti, tra un passato che ritorna e un presente che ancora non riesce a guardare al futuro, intrappolato com’è da fantasmi veri e presunti. Emblematica in questo senso è la scena iniziale del film, in cui troviamo Raimunda, una splendida Penélope Cruz, al cimitero del paese natio in compagnia della figlia Paula e della sorella Sole, mentre la vicina Agustina è affaccendata a pulire la propria tomba, sferzata ininterrottamente dal malevolo vento manchego, la cui fama di scatenare incendi e portare uomini e donne alla pazzia non è del tutto immeritata. Scopo del ritorno nella cittadina è la visita all’anziana zia Paula, sorella della defunta madre di Raimunda, che vista l’età avanzata è motivo di grande preoccupazione per le nipoti. Ma ad inquietare Sole non sono soltanto le precarie condizioni della zia, quanto piuttosto le voci, alle quali è molto propensa a credere, secondo cui il fantasma della madre si aggira tuttora per il paese e, addirittura, si prende cura di Paula; dicerie che, al contrario, Raimunda respinge seccamente, addirittura infastidita dall’ingenuità della sorella. E non ci si sente di condannare in tutto e per tutto questo suo atteggiamento, considerato cosa dovrà affrontare di lì a poco: non solo la morte dell’amata zia, ma anche l’omicidio del marito a opera della figlia adolescente, vittima di un tentativo di violenza. A complicare la situazione, già di per sé non facile, ecco che gli strani presentimenti di Sole sembrano trovare un certo riscontro, mentre Raimunda, nel frattempo imbarcatasi nell’impresa di gestire un ristorante, ha qualche difficoltà nello sbarazzarsi del cadavere del marito. Come se non bastasse persino la figlia sembra nascondere qualcosa, in combutta con Sole e con una sua misteriosa aiutante russa, tenuta accuratamente alla larga da Raimunda... In questa girandola, apparentemente casuale, di dipartite e ritorni, di segreti dalla vita breve e verità che hanno atteso anche troppo di essere svelate, forse si troverà il modo di venire finalmente a patti con il passato, di sciogliere quei nodi ancora irrisolti, di trovare la serenità per andare avanti.

Per gli affezionati e non solo

Anche per quest’ultimo lavoro, Almodóvar attinge a piene mani da quel corpus di esperienze e sensazioni che riconosciamo già da tempo come fulcro del proprio percorso intellettuale: la forza della donna, come singolo individuo così come piccola comunità, la morte in quanto possibile teatro di rinascita, il sottile e labile confine tra bene e male, la necessità di affermare se stessi e il proprio diritto alla vita e alla felicità, se non altro come forma di autodifesa. E lo fa, ancora una volta, con le figure e le immagini a lui più care: la solidarietà femminile, rappresentata da una parte dalle anziane del paese, seppur con le loro piccole meschinità, dall’altra dalle vicine di Raimunda a Madrid, tra le quali spicca la simpatica e inaffondabile prostituta (emblema di quella libertà, sessuale quanto di pensiero e vedute, così cara al regista spagnolo); i fantasmi di un passato doloroso e scomodo, che non ci è dato dimenticare ma dal quale dobbiamo, inevitabilmente, trarre un motivo di rinnovamento; il lato maschile dipinto a tinte forti, crude, a tratti anche un po’ patetico; il fiume come simbolo non tanto di vita e rinascita, quanto di morte, pietosa o salvifica a seconda dei casi. Inutile dire che questa nutrita gamma di argomenti è ottimamente supportata a livello registico, non solo grazie ad un sapiente uso delle inquadrature, ma anche e soprattutto da una fotografia luminosa e colorata, dal gusto pop, e da un comparto musicale di grande impatto emotivo, culminante con la commovente esibizione canora di Penélope Cruz, davvero espressiva e adattissima alla parte, così come tutte le altre interpreti della pellicola.

Volver Meno male che c’è Almodóvar. In questo torrido giugno così deludente per i cinefili, viste le molte uscite blasonate ma altrettanto deludenti, la pellicola del regista spagnolo rappresenta senz’altro una boccata d’aria fresca, una dimostrazione, necessaria di questi tempi, di come di cose da dire e da fare ce ne siano ancora parecchie, nonostante sia indispensabile una sensibilità non comune per scovarle. Certo, qualcuno potrebbe obiettare al regista spagnolo l’urgenza di tornare (volver, per l’appunto) ancora una volta su quelle che sembrerebbero essere le stesse tematiche di sempre, ma in un terreno difficile da battere come quello dell’esplorazione dell’animo umano, nelle sue bassezze e nelle sue meravigliose risorse, a volte si ha anche bisogno di una certa dose di speranza, che questo film, per fortuna, non ci nega.

8

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