Voci d'Oro, la recensione: una commedia agrodolce sul dramma di cambiare

Evgeny Ruman firma una commedia agrodolce, incentrata sul dramma di una coppia russa emigrata in Israele del 1990.

Voci d'Oro, la recensione: una commedia agrodolce sul dramma di cambiare
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È un periodo particolare e problematico per Victor e Raya Frenkel. Siamo nel 1990 e dopo la caduta del Muro di Berlino, la dissoluzione dei limiti e barriere imposte dal regime sovietico, un crescente numero di ebrei residenti nella fu URSS decide di entrare a far parte dello Stato di Israele.
Il fenomeno, noto come Aliyah (il ritorno in Israele), ha cambiato profondamente la società israeliana, la sua cultura, europeizzandola molto di più, ma anche comportando un multiculturalismo che ha avuto come conseguenza anche dei problemi non da poco, soprattutto per chi, come i due protagonisti, non era più molto giovane o particolarmente flessibile.
Evgeny Ruman, dopo Igor and the Cranes' Journey, The Man in the Wall e Ruby Strangelove Young Witch, conferma la sua fama di regista creativo, sensibile e assolutamente non scontato né superficiale, creando un iter narrativo in cui la componente storica è parallela al dramma dei due teneri e un po' goffi protagonisti.

Dalla Russia con timore

Victor (Vladimir Friedman) e Raya (Maria Belkin) non sono due persone qualunque, due ebrei russi come gli altri. Sono stati per anni i due doppiatori di punta per il pubblico russo, hanno dato la voce ai più grandi film della storia, ma ora, ormai dentro i 60 in modo inequivocabile, non devono solo adattarsi a un nuovo Paese, una nuova cultura, ma anche cercare un nuovo lavoro.
Tale processo, nella sceneggiatura concepita da Evgeny Ruman e Ziv Berkovic, diventa in breve un viaggio dentro il rapporto tra cinema e memorie, tra cinema e identità.
E il cinema per Victor e Raya ha soprattutto un nome: Federico Fellini. La Voce della Luna, 8 e ½, Le Notti di Cabiria, sono sempre presenti, rivendicati soprattutto dal goffo e intrattabile Victor come il simbolo più alto di quella settima arte a cui ha donato la vita.
Friedman riesce a fare di questo ostinato artista, incapace di lasciarsi il passato alle spalle, un testimone della meraviglia del cinema, prima dell'avvento di quella realtà dell'home video in cui questi rimarrà coinvolto quasi per caso.
Vi sono anche Kramer contro Kramer e Spartacus che vengono citati, così come Mamma, Ho Perso l'Aereo. Il film è un viaggio dei ricordi nel cinema che fu, di cui mostra la dimensione sempre più mainstream delle sale e del pubblico.
Ma a conti fatti, più che del cinema, Voci d'Oro parla della vita, parla di come essa cambia, di due ex artisti rampanti ridotti a guardare negli occhi l'autunno delle loro speranze e della loro vita. In questo, Ruman si dimostra tanto inventivo quanto poco retorico.

Un film agrodolce che affronta molti temi

Raya decide, per guadagnarsi da vivere, di lavorare per una linea telefonica hot, utilizzata da tanti immigrati russi in Israele. Dopo i primi, comprensibili imbarazzi, l'attrice che è in lei prende il sopravvento, diventando in breve la più brava tra le telefoniste, grazie alla sua fantasia, la sua abilità nel dissimulare con la voce, così come la sua sensibilità.
Raya comincerà a guardare in modo completamente diverso la sua vita passata, la sua relazione con un uomo che, si rende conto, è sempre stato un limite per la sua libertà e la sua realizzazione di donna e artista. Al contrario di Victor, quel Paese le pare in grado di darle una nuova ragione di vita, di permetterle di andare oltre le sue paure, ciò che non vedeva e non voleva essere.
Victor invece è il simbolo di quella parte di mondo che non riuscì (almeno non subito) ad adattarsi, a staccarsi dal modo di pensare e di vivere del colosso sovietico morente.
Con Voci d'Oro si scherza, si sorride, ma ci si commuove e ci si rattrista nel vedere la carica vitale intrappolata dentro due corpi invecchiati a dispetto di speranze e sogni.
A conti fatti è un film anche sui problemi della terza età che incombe, sull'erotismo che cerca di uscire in tutti i modi senza sapere bene come. Ma al netto di una certa atmosfera di disperazione e solitudine, il finale è pieno di speranza e di dolcezza, per quanto ammantato di una decostruzione dell'happy end hollywoodiano. Ma tanto a loro piaceva Fellini.

Voci d'oro è un perfetto esempio di autorialità genuina e umile, della capacità di un regista di parlarci di una fase della vita in modo alquanto diverso dalla norma.
Oltre a questo si inserisce in modo alquanto originale e per nulla scontato l'attualissimo tema della libertà e dignità femminile, dell'emancipazione, tematica che in Israele, così come nell'Est Europa, rimane purtroppo alquanto problematica e per nulla scontata.
Il duo protagonista è semplicemente perfetto, data la sua capacità di rinfrancarci di fronte alla realtà ultima, e che cioè in fondo tutti facciamo sempre gli stessi errori in eterno, senza magari correggerci. A ben pensarci, è anche un modo per sentirci ancora giovani.

Voci d'Oro Voci d'Oro è una commedia agrodolce intelligente e delicata, che affronta in modo leggero ma mai superficiale temi come l'emigrazione, l'emancipazione femminile, l'eros che si fa più difficile con l'età che avanza. Di soppiatto compare anche un affettuoso omaggio alla supremazia del cinema d'autore che fu. Al netto di una sceneggiatura non proprio sorprendente, Evgeny Ruman riesce a confezionare un film che non annoia né è afflitto da particolari cali di ritmo. Un'opera coerente e dotata di una sua struggente e leggera bellezza, disponibile dal 24 aprile in esclusiva sulla piattaforma MioCinema.

7

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