Recensione Villaggio dei dannati

Un gruppo di bambini nati in circostanze misteriose mette in pericolo l'esistenza di una cittadina in Villaggio dei dannati, remake di John Carpenter.

Recensione Villaggio dei dannati
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Nella piccola cittadina di Midwich, California, dopo che un inspiegabile svenimento collettivo ha colpito l'intera popolazione, dieci donne, includenti anche una ragazza vergine, rimangono misteriosamente incinte nello stesso momento. Il fatto, che attira subito l'interesse delle autorità governative e della ricercatrice Susan Verner, porta nove mesi dopo alla nascita contemporanea di nove bambini (una infatti muore poco dopo il parto) che secondo i test effettuati hanno delle anomalie genetiche in comune: inoltre i piccoli hanno la particolare caratteristica di avere una capigliatura di colore bianco platino. Col trascorrere dei mesi i fanciulli cominciano a manifestare degli inquietanti poteri psichici, come leggere la mente, comunicare tra di loro attraverso la telepatia e condizionare i pensieri e le azioni degli adulti. In seguito a numerosi incidenti e morti misteriose che hanno avuto luogo nella cittadina, il medico locale Alan Chaffe (anche padre di Mara, la carismatica leader della diabolica nidiata) cerca con l'aiuto della Verner e del reverendo George di escogitare un modo per fermare il losco piano dei piccoli, scoprendo inquietanti segreti sulla loro reale origine.

Village of the damned

Se con La cosa (1982) John Carpenter era riuscito a modernizzare un classico (invecchiato più del dovuto) aggiornandolo ai tempi contemporanei con genio ed inventiva, lo stesso non si può dire per l'altro rifacimento girato nella sua gloriosa carriera, nuova versione della pellicola britannica diretta nel 1960 da Wolf Rilla. Villaggio dei dannati, tratto come l'originale dal romanzo I figli dell'invasione di John Wyndham, ha certamente i suoi momenti, in particolare nell'intenso e avvincente finale, ma non riesce a mantenere nei suoi cento minuti di durata un'omogenea dose tensiva e introspettiva che la storia era in grado di garantire. Non è un caso che lo stesso regista americano lo consideri un mero prodotto su commissione, dal quale (parole sue) non si è mai sentito realmente coinvolto; e tolta infatti la succitata mezzora conclusiva è difficile scorgere scampoli del cinema carpenteriano in una sceneggiatura che, pur basandosi molto fedelmente alla pellicola d'origine, non riesce mai a coinvolgere pienamente tra forzature e risvolti sin troppo velocizzati che penalizzano il potenziale impatto empatico. La carica horror della vicenda emerge così soltanto saltuariamente, lasciando procedere la narrazione su binari eccessivamente lenti e telefonati che riportano alla mente i peggiori capitoli della saga di Grano rosso sangue ed impediscono alle comunque buone performance del cast di lasciare il giusto transfert emotivo sullo spettatore; un vero peccato poiché Christopher Reeve, alla sua ultima interpretazione prima del grave incidente che lo lasciò paralizzato, si muove con convincente intensità e le stesse performance dei piccoli interpreti riescono ad inquietare in più di un'occasione.

Villaggio dei dannati Un Carpenter sottotono (e poco attratto, come da lui stesso dichiarato qualche anno fa, dal progetto) per un remake di cui, a visione finita, si può certo ammettere che non se ne sarebbe sentita la mancanza. Villaggio dei dannati ha qualche momento suggestivo, con un'escalation semi-action nel rocambolesco finale e una manciata di passaggi filo-horror di discreta atmosfera, ma perde nettamente il confronto con l'originale anche per via di una sceneggiatura non priva di pecche e forzature. Il buon cast, comprendente oltre al protagonista Reeve anche Mark Hamill nei panni del reverendo locale e Kirstie Alley, se la cava più che dignitosamente (bambini inclusi) ma l'atmosfera del racconto, potenzialmente di grande fascino, si perde in una messa in scena che non coinvolge mai pienamente.

5.5

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