L'uomo della scatola magica, la recensione dello sci-fi su Prime Video

Bodo Kox firma uno sci-fi d'ambientazione orwelliana, costellato da citazioni e da un accumulo di svolte di genere che ne compromettono l'omogeneità.

L'uomo della scatola magica, la recensione dello sci-fi su Prime Video
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Nel 2030 un uomo sta fuggendo dalla zona più povera di Varsavia per raggiungere la Città Nuova, dove hanno sede le grosse compagnie e i grattacieli dell'establishment. Chiamato Adam, il protagonista trova alloggio in un palazzo diroccato e viene assunto come addetto delle pulizie proprio per una di quelle grosse società.
Sul luogo di lavoro Adam ha modo di fare conoscenza con il collega Sebastian, un individuo mite ma alquanto strambo, e attira le attenzioni di Gloria, impiegata nell'Ufficio Risorse Umane: nonostante l'evidente differenza di classe tra i due cresce una passione sempre più forte.
Un giorno nel suo appartamento Adam rinviene una radio risalente agli anni Cinquanta, in una realtà dove la musica è drasticamente vietata dalle autorità. L'apparecchio, oltre a trasmettere canzoni di un tempo lontano, nasconde però altri inquietanti segreti.

Ritorno al futuro

Difficile dire dove finiscano le influenze e cominci il film vero e proprio, data la gran mole di ispirazioni rese palesi su schermo, non solo a livello visivo ma anche lessicale, nei cento minuti di visione. Certo è che L'uomo della scatola magica è un'opera stravagante e imperfetta, capace di tessere nel corso della sua incessante narrazione una miriade di spunti non sempre poi sviluppati a dovere, complice anche una durata che avrebbe dovuto essere più lunga di almeno mezz'ora, per completare in maniera coesa il racconto.
Bodo Kox, regista polacco già autore del premiato The Girl from the Wardrobe (2013), si cimenta nel filone della fantascienza distopica di stampo prettamente orwelliano e trova nell'ambientazione indigena il palcoscenico ideale, con i casermoni e gli spettri della precedente dittatura comunista a offrirsi quale teatro della vicenda.
Peccato che molte delle scene in esterno facciano sfoggio di effetti speciali e che il tema della lotta tra un mondo schiavo delle multinazionali e i poveri che vivono in baracche di fortuna sia solo un semplice sottofondo, troppo anonimo per lasciare il segno.

Di tutto e di più

I punti di riferimento in ambito cinematografico rimangono sicuramente uno dei capisaldi del filone come il monumentale Brazil (1985) di Terry Gilliam e in generale le atmosfere torbide e striscianti del connazionale Roman Polanski, ma è possibile riscontrare anche movimenti di macchina alla Gaspar Noé.
Se già nel prologo viene citato nei dialoghi il franchise di Men in Black, è poi altrettanto spudorato l'omaggio a Fight Club (1999) di David Fincher in una particolare scena copia-incolla. E poi ancora Linea Mortale (1990) e collegamenti temporali sulla scia di quanto visto, in tempi più recenti, nel sorprendente L'immensità della notte (2019).

Disponibile nel catalogo di Amazon Prime Video, L'uomo della scatola magica offre quindi un immaginario ben conosciuto dagli amanti del genere e in una manciata di sequenze mette in campo anche una discreta personalità, ma la rapida conclusione taglia di netto un'evoluzione a più ampio respiro.
Giunti ai titoli di coda l'impressione è quella di aver assistito a un insieme sì godibile ma schiavo di una sceneggiatura dai marcati tratti derivativi, mai capace di spiccare definitivamente il volo.

L'uomo della scatola magica Il problema principale di un'operazione come L'uomo della scatola magica è il suo essere qualcosa di già visto, un ricettacolo di stili e influenze che si trova a citare spasmodicamente opere cardine, non soltanto del cinema e della letteratura di genere. Ambientato per la maggior parte nella Varsavia del 2030, il film di Bodo Kox butta nella mischia un sacco di temi e spunti affascinanti, dando anche vita a una realtà orwelliana di discreta fattura visiva e concettuale, ma non trova un proprio equilibrio dal punto di vista narrativo. I numerosi omaggi si perdono all'interno di una storia potenzialmente intrigante, limitata da una progressione poco omogenea e dal mancato climax finale, con un epilogo che chiude il tutto troppo drasticamente dopo aver montato nello spettatore ben altre aspettative. Il risultato è un lavoro sicuramente apprezzabile, in particolar modo per gli amanti del filone, che cade però sotto il peso di ambizioni inespresse.

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