L'uomo senza gravità, la recensione del film Netflix con Elio Germano

Netflix mescola realismo e fantasia in questo prodotto italiano con Elio Germano, non riuscendo però a centrare appieno l'obbiettivo.

L'uomo senza gravità, la recensione del film Netflix con Elio Germano
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Spesso le premesse sono intriganti. Quell'ideuzza un po' stramba che potrebbe nascondere caldi risvolti, una deviazione nel fuoripista degli schemi, il caro, vecchio e mai tramontato "semplice ma efficace". Una base forte da cui partire, per galleggiare nel cinema e raccontare una storia impossibile e reale. Netflix ci prova con L'uomo senza gravità, mettendo tanta responsabilità sulle spalle di Elio Germano. Giustamente.
Poi però il film si sgonfia, perde aria qua e là, sfiata sgraziatamente e si affloscia al suolo, riverso di lato. La pellicola scritta e diretta da Marco Bonfanti prova in tutti i modi a mantenersi salda sulla forte idea di base - un bambino che nasce, appunto, senza subire gli effetti della gravità - purtroppo senza riuscirci pienamente, inciampando in prevedibilissimi cliché e leggerezze di sceneggiatura che deviano da un ottimo inizio e mettono alla prova ogni buona volontà dello spettatore, che resta comunque fino alla fine della giostra cercando di godersi la corsa. Vediamo assieme perché.

Zaino in spalla e si parte

Sembra strano dirlo, ma la parte migliore di L'uomo senza gravità non ha Elio Germano in prima linea. E non per demeriti dell'attore, anzi, ma perché l'inizio del film è l'elemento più a fuoco, quello che restituisce le atmosfere più sognanti e concrete, una mezz'ora in cui Bonfanti riesce a esaltare tutti i suoi attori, dipingendo con tocchi lievi e precisi (soprattutto di regia) il cammino schiacciato di Oscar, che senza un peso addosso vola via. Ed è in questi piccoli gesti che il regista posiziona nei giusti binari la storia, con il forte elemento nostalgia della serie animata di Batman (che farebbe cantare la sua sigla a chiunque), con l'estrema provincia pettegola, con una realtà sognante che è davvero plausibile proprio nella fantasia della storia. Noi ci ritroviamo subito in Oscar, senza neanche fare fatica, scivolando delicatamente nel suo rapporto con Agata, anche grazie alla splendida alchimia fra Pietro Pescara e Jennifer Brokshi, attori bambini con le espressioni e le parole giuste, in grado di farci tornare con la mente a quando vivevamo solo per giocare fuori, anche se la mamma non voleva.

Il tonfo a terra

L'uomo senza gravità regge ancora un po'. Dall'arrivo dell'Oscar adulto di Elio Germano c'è ancora una sorta di coerenza narrativa, c'è ancora un altro tipo di mondo da scoprire. Anche perché Germano è sempre una garanzia inesauribile. Si vede fin da subito il lavoro certosino per riprendere i gesti di Pietro Pescara, in modo da tramutare il suo Oscar in un bambino-adulto che continua a restare stupito dalla vita, pur con un sottofondo di triste malinconia. Poi però il film sterza bruscamente. Si infila in un tunnel pericoloso, uno di quelli dove neanche la frase "sembra di essere in un film americano" ti può salvare. Da quando Oscar vede un certo programma alla televisione (senza fare spoiler) L'uomo senza gravità comincia inesorabilmente ad affastellare un cliché dopo l'altro, a cominciare da David, il personaggio interpretato da Vincent Scarito. Ogni risvolto di trama diventa stancamente prevedibile, perdendo quel dolce tocco di realismo magico che aveva caratterizzato tutta la prima parte.

Il film non riesce più a trovare la sua voce, sgonfiandosi verso un paio di scelte di sceneggiatura che superano il limite della credibilità, incagliandosi nel già visto che spesso risulta fastidioso. Tutto procede lungo binari fissi e rigidi, con dialoghi che lasciano poco allo spettatore. Dove le coincidenze impossibili la fanno da padrona e un uomo che galleggia in aria non è l'elemento meno plausibile.

Volare incatenati

A conti fatti L'uomo senza gravità ha due anime, che cozzano soprattutto tra prima parte e resto del film, ma anche dalla mezz'ora in poi. Perché a livello di regia Bonfanti sa il fatto suo, e riesce a mantenersi coerente lungo tutta la pellicola, con alcune scelte di messa in scena particolarmente azzeccate (tra libertà e catene).
Elio Germano è gigante nella sua tenera piccolezza, e il suo Oscar davvero cattura la scena, pur affossato da una sceneggiatura che parte nell'intimo per poi tentare il salto verso i grandi palchi, riuscendo solo a sprecare occasioni e cambiare un punto di vista che era così a fuoco, così ben centrato.

Perché tutte le grosse svolte di trama da un certo momento in poi sono davvero inverosimili, e quando si vuole strafare c'è sempre il rischio di crollare su sé stessi, schiacciati dal peso enorme di uno zaino riempito di mattoni. Anche il finale si libra verso vette trash, perdendo completamente la magia iniziale (nonostante faccia di tutto per replicarla e recuperarla). "Se potessi togliermi lo zaino, allora sì che mi divertirei" dice Oscar a un certo punto del film. E non c'è nulla di più preciso. L'uomo senza gravità prova a toglierselo, ogni tanto ci riesce pure, ma quel peso, alla fine, resta ancorato alla sua schiena, lasciando segni di occasione mancata su una pellicola che avrebbe tanto voluto volare via, senza mai farcela completamente.

L'uomo senza gravità Netflix lascia nelle mani di Marco Bonfanti un'idea forte e un Elio Germano sempre splendido. L'uomo senza gravità è però un film spezzato, con una prima parte perfettamente a fuoco, sia nei temi che nella sceneggiatura (e nei due interpreti bambini, una gioia per gli occhi). Terminata la mezz'ora, però, il film inizia a incastrarsi in una ridda pesante di cliché narrativi, svolte di trama inverosimili e coincidenze sempre più forzate, perdendo quel dolce realismo magico che aveva fatto innamorare tutti fin da subito.

6

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