Recensione Uncanny

Uno scienziato, una giornalista e un androide sono al centro di Uncanny, lo sci-fi umanistico e introspettivo di Matthew Leutwyler che ha anticipato di pochi mesi lo speculare Ex Machina.

Recensione Uncanny
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La giornalista Joy Andrews è incaricata di fare un reportage sul geniale scienziato David Kressen. Il luminare vive recluso da anni in un'enorme struttura appartenente al magnate Simon Castle, fondatore di Kestrel Computing: all'interno del Workspace 18 Kressen sta conducendo esperimenti di robotica atti a creare nuove forme di intelligenza artificiale. Il suo risultato più portentoso è Adam, un robot apparentemente indistinguibile da un normale essere umano, i cui livelli di apprendimento migliorano giorno dopo giorno. L'arrivo della bella reporter innescherà però nell'androide reazioni insospettabili e imprevedibili, dando vita ad una sorta di crescente gelosia che mette in crisi il rapporto con il suo creatore.

Il mondo di un robot

Chissà se Alex Garland nelle fasi finali della realizzazione di Ex machina abbia dato un occhio e magari preso ispirazione da Uncanny, film diretto da Matthew Leutwyler e uscito soltanto pochi mesi prima dell'omologo titolo con Alicia Vikander. Il plot principale infatti ha più di un punto in comune e, pur ponderando in seguito su altre vie narrative, l'effetto deja-vu è garantito per chi abbia visto entrambe le pellicole. Leutwyler però dato anche il budget minore costruisce un'opera più incentrata sull'essenza, escludendo quasi totalmente l'impiego di effetti speciali e virate action, movimentando l'atmosfera soltanto nei dieci minuti finali, dove un colpo di scena forse parzialmente intuibile ma in ogni caso d'effetto muove il destino dei tre protagonisti. Uncanny vive in un'eterna costruzione dell'attesa che, fregandosene altamente delle logiche commerciali del ritmo filmico, è in grado di affascinare e respingere al contempo, in una sorta di ménage à trois a tratti un po' forzato ma in ogni grado retto da una sceneggiatura più intelligente di quanto possa apparire a caldo. Sette giorni nei quali il costrutto interpersonale assume rilevanza fondamentale all'interno di quest'ennesimo teorema di fantascienza umanistica e realistica, capace nella sua attendibilità di spaventare nella sobria messa in scena. Sobrietà che si rispecchia anche in una regia mai invasiva e che si limita con tatto al necessario, in una fotografia fredda che ben rispecchia le personalità dei personaggi e in una recitazione complessiva non priva di verosimiglianza.

Uncanny Predecessore inizialmente speculare dell'Ex Machina di Alex Garland, Uncanny sfrutta al meglio il non certo copioso budget con una messa in scena introspettiva che nella sua apparente lentezza riesce a catalizzare magneticamente l'attenzione di chi guarda. Merito di una sceneggiatura che cura il dettaglio e in una regia che si concentra con rassegnata intensità sul trio di personaggi protagonisti, trasformando i potenziali difetti di ritmo in un efficace punto di forza, garantendo all'operazione un'atmosfera di sottratta emotività.

6.5

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