Recensione Un été brûlant

Monica Bellucci non si riscatta nell'ultimo film di Philippe Garrel

Recensione Un été brûlant
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“Perché la fate recitare?” si chiede il Fatto Quotidiano a proposito di Monica Bellucci riportando la devastante domanda sotto un bel riquadrone rosso a due colonne, con l’occhiello “Dilemma” a sottolinearne l’inevitabile angoscia collettiva. Una domanda forse un po’ forte che però, e lo diciamo con una punta di amarezza, non a caso mette il dito sulla piaga. Perché se è vero come è vero che il film di cui è protagonista Un été brûlant, firmato da Philippe Garrel e in concorso a Venezia di sicuro non l’aiuta (sconclusionato, confuso, quasi senza trama a parte il racconto di storie più meno d’amore e di amicizia che si intrecciano e si dissolvono, si rompono e si ricompongono sotto la pressione di urgenze esistenziali tra Roma e Parigi e che si risolveranno tragicamente per alcuni dei protagonisti), lei ci mette parecchio del suo. Compreso un nudo iniziale, con lunga inquadratura fissa, languidamente poggiato su un austero letto, pube escluso, che l’attrice rivela di aver accettato di girare “come gesto di generosità” verso il regista. “Altruismo” che però non salverà nessuno, a parte (forse) il box office. Ma andiamo con ordine.

Angèle e Frèdèric

Angèle (Monica Bellucci) è sposata con Frèdèric (Louis Garrel, figlio ventottenne del regista e attuale compagno di Valeria Bruni Tedeschi, lanciato da Bernardo Bertolucci in The Dreamers). Lui fa il pittore ed è ossessionato dai tradimenti di lei nonostante teorizzi l’amore libero e passi parecchio del suo tempo con prostitute; lei è un’attrice che a un certo punto decide di tornare in Italia per fare un film. I due invitano un’altra loro coppia di amici a Roma, Elisabeth (Cèline Sallette) e Paul (Jèrome Robart) che stanno in crisi -ma forse no- e nel frattempo tra Angèle e Roland, un altro amico, torna la passione...

Un'estate (poco) bruciante

La traduzione del titolo sarebbe Un’estate bruciante ma qui sembra che tutto sia sotto salamoia. Tra silenzi, sguardi carichi di rancore, pensieri che affollano visi spesso tediati che affrontano a malincuore pause lunghe a voler ricordare Godard (???), si dipana un film astruso e francamente noioso. Colpa del regista di culto per cinefili due volte Leone d’argento a Venezia e tra gli ultimi testimoni della Novelle Vague? O di quella geografia dei sentimenti che dovrebbe trapelare dalla protagonista e che invece non si avverte praticamente mai né dal volto né dal corpo o dai gesti della nostra Monica Bellucci, mentre la sua espressione risulta quasi sempre asincrona e fuori luogo? A questo va aggiunto che se deve piangere, si copre il volto con entrambi i palmi delle mani e quindi non sapremo mai quanto vero e sincero sia il suo sentire; se deve recitare una frase come “Qualche volta sento che vorrei morire” è talmente inverosimile che in sala scoppia una fragorosa risata di comicità involontaria; se deve servire gli spaghetti sembra colpita dalla sindrome del tunnel carpale.

Unetebrulant Insomma, batti e ribatti si piega anche il ferro dicevano gli antichi, ma a quanto pare non l’inossidabile Monica Bellucci, ancora statuaria e cremosa a 45 anni nonostante due gravidanze (il nudo del film è stato realizzato ad appena poche settimane dal parto), attrice molto attesa a Venezia di cui mai e poi mai vorremmo dir male. Perché è una donna intelligente, un personaggio simpatico, una figura tutto sommato molto gradevole esteticamente parlando. Ma perché, come dice il Fatto, incaponirsi tanto? Ai botteghini l’ardua sentenza.

5

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