Recensione Un mondo fragile

Dalla Colombia un'opera potente che scandaglia l'animo umano e le sue fragilità così come le viscere di un rapporto inscindibile con la terra e le proprie origini: un'opera prima sorprendente che lascia impresso il nome del giovane regista Acevedo.

Recensione Un mondo fragile
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Il vecchio Alfonso (Haimer Leal) torna alla sua terra diciassette anni dopo, per accudire il figlio Gerardo gravemente malato, e trova Un mondo fragile, diverso, circondato dalle distese di canna da zucchero che ogni giorno vengono tagliate e bruciate dando vita a un'aria nera che (inter)rompe ogni respiro. La fuliggine che ne deriva è infatti un vento tossico per chi abita quelle zone, e le crisi respiratorie di Gerardo (Edison Raigosa), sempre più affannose, pressanti, sono il risultato del malessere che ora abita quei luoghi, un tempo veri e propri santuari rurali, dove la Natura regnava solenne e le fattorie brulicavano. Di ritorno alla sua terra, oltre al figlio malato Alfonso ritroverà la nuora (sempre più determinata ad abbandonare quei luoghi ma ostacolata dalle ritrosie del marito, incapace di abbandonare la madre) e (soprattutto) l'anziana donna che un tempo era stata sua moglie e compagna, quella donna con cui aveva condiviso tanto e che poi aveva perso di vista per aver deciso di partire, tagliare i ponti con un luogo che non sentiva più suo. Ma sarà soprattutto grazie alla terza generazione, ovvero quella del piccolo Manuel - figlio di Gerardo, che l'anziano verrà riportato prepotentemente al suo passato, instaurando un profondo rapporto con quel nipotino mai conosciuto prima, un rapporto che passa attraverso l'ascolto della natura, la cura delle piante, il culto della terra. Così, mentre sul letto di una camera sempre più buia e asfissiante Gerardo lotta per la vita, suo padre Alfonso andrà alla ricerca di un contatto con sé stesso, dell'uomo di un tempo, recuperando l'affetto dei luoghi delle sue origini e soprattutto di quelle persone che, in un mondo o nell'altro, non hanno mai smesso di essere la sua famiglia.

Ritorno al passato

Dalla Colombia Il giovanissimo César Augusto Alvedo (28enne, classe 1987) firma un'opera prima commovente e piena di pathos, mettendo a frutto quella che era stata la sceneggiatura presentata per la sua tesi di laurea (un esordio notevole visto che l'opera si è aggiudicata anche il Premio alla Settimana della Critica del Festival di Cannes 2015). Un film profondo che scava nel dolore più denso di rapporti sghembi, disordinati, eppure pietre miliari di un sentimento vero, che né il tempo né la distanza sono in grado di affievolire. I bellissimi e 'ostili' paesaggi rurali che fanno da sfondo alla storia, segnano il passo di quest'opera prima che si nutre di una purezza del sentire e del percepire (la natura così come gli affetti) che si trasforma poi nel candore di un racconto capace di parlare al cuore dello spettatore senza filtri (visivi), né compromessi (narrativi). Alvedo ci parla della sofferenza e della felicità con le stesse serafica armonia e bellezza che ci provocano il galoppo di un cavallo lasciato alla sua libertà. Siamo di fronte a un cinema alto, che recupera appieno il tratto genuino del suo sentire, parlare, trasmettere emozione. Il cinema che nasce dalle sensazioni forti di un mondo in perenne contrasto tra natura e cinismo umano, poesia e brutalità. Senza'altro non facile da seguire e metabolizzare per i suoi tempi dilatati e la sua narrazione sospesa, Un mondo fragile (La tierra y la sombra - ovvero la terra e l'ombra) ci trascina per mano in un mondo cosparso da un sottile e polveroso pulviscolo, quello dei tanti infiniti granelli che insieme formano il lungo e sempre scosceso sentiero della vita.

Un mondo fragile Dalla Colombia un’opera intensa che ritrae le fragilità della vita ma anche il cordone ombelicale dei legami, siano essi con la terra d’origine o con i propri cari. Un’opera prima di raro spessore umano, che condensa in due ore tutto il valore del sacrifico e la bellezza del coltivare, la terra così come i rapporti, all’interno di un mondo in perenne fuga e mutamento, che a tempi alterni mette in risalto alti e bassi delle nostre fragili esistenze.

8

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