Recensione Un'Impresa da Dio

Un sequel biblicamente brutto

Recensione Un'Impresa da Dio
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E chi se lo aspettava! Dopo un film di successo un sequel. Hollywood tutta viene portata via da una folata di rinnovamento e fresca energia! E pensare che è solo sarcasmo, il mio.

E' doveroso citare il prequel, come per ogni nuovo capitolo di una serie. Una settimana da Dio era riuscito a portare la figura dell'Onnipotente nell'era moderna, dando una svecchiata al triangolo occhiuto. Non più vendicatore o padre severo, ma simpatica macchietta che perde il suo tempo a dare insegnamento ad un cronista qualsiasi donandogli temporaneamente i suoi poteri. Poteri illimitati che in primis porteranno il novello possessore a montarsi la testa ma poi... Da grandi poteri grandi responsabilità sembra risuonare nell'aria, e quindi ci si può immaginare anche il finale. Gli incassi devono aver fatto venire l'acquolina in bocca al giovane Shadyac, che ovviamente ha deciso di riprovarci. Sfortunatamente non aveva sotto mano Jim Carrey ed il risultato non è stato dei migliori. Ma parliamo anche della trama di questa poltiglia. Evan (Steve Carell), un giornalista maniaco dell'igiene personale e dell'aspetto esteriore (questo, insieme al prolisso Dio impersonato da Morgan Freeman è l'unico punto in comune col prequel), neoletto membro del Congresso per lo stato di New York, voleva cambiare il mondo. O almeno è quello che diceva di voler fare in campagna elettorale, ma si sa che Dio è ironico (o almeno così la pensano ad Hollywood), e quindi verrà preso in parola. Barba, capelli lunghi ed un barcone che si estende per svariati ettari. Questo potrebbe essere un riassunto efficace e sicuramente più interessante del film. Ah si, dimenticavo gli animali. Si, ci sono un sacco di animali. Ovvio, per riempire il barcone. Animali che fanno i propri bisogni, il massimo della comicità. E gli uccelli! E poi c'è anche un branco di scimmie che bevono e degli elefanti che fanno la doccia alla dolce famigliola ... Che dolci! Da morir dal ridere! Anche questo è sarcasmo, intendiamoci...

Avete voglia di continuare a leggere? Ok... Continuiamo. Dio, patria e famiglia. Questi tre temi sono ormai i filoni principali della Hollywood conservatrice, protagonisti indiscussi di film che dovrebbero far sentire in un grembo di santità il popolo bigotto americano. Certo, non è colpa di questo film, ma certe cose ad un certo punto arrivano a noia. Certo, è assodato che dopo l'età ellenica non ci si può inventare più nulla, ma d'altro canto sarebbe auspicabile un po' più di fantasia, o perlomeno di volontà nel far bene. Spiace per il povero Carell, che in Kung Pow (se non lo avete visto, beh, non perdete tempo ed andatelo ad affittare. Semplicemente un film cult della comicità) dimostra il suo genio comico, che si è pian piano spento approdando al simpatico, ma niente di più, 40 Anni Vergine (citato nel film con una delle battute più brillanti dell'intera pellicola...), mentre ormai il vecchio Freeman non riesce ad uscire dal suo personaggio, ormai così logoro da sembrare credibile (non potrà mai più fare altro che il "vecchio saggio"?... Pare proprio di no). La sceneggiatura sembra scritta da un bambino che ha appena frequentato il primo anno di catechismo e si fa fregio della vena ecologista come bandiera sotto la quale far passare ogni inutile battuta. Certo, ogni tanto qualche sorriso lo strappa, ma non si può attendere così tanto l'attimo ilare, quando, in una commedia, dovrebbe essere il sale dell'opera... La regia non è niente di eccezionale, anche se indugia a sottolineare ogni sketch tanto da renderlo scontato e superfluo, senza brio e spesso melenso. Insomma se non avete ancora capito, questo film non vale nemmeno il prezzo d'affitto. Figurarsi il prezzo pieno al botteghino...

Un'Impresa da Dio Se avete 7 euro, passate una serata con gli amici, prendetevi una birra o la pizza o... Che ne so... Ci sono tanti modi per spendere 7 euro. Ovviamente evitate questo film! Guardate il prequel o, se ancora non l'avete visto, Kung Pow. Facile, no?

4

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