Ultras, la recensione del nuovo film Netflix con Aniello Arena

Il talentuoso regista dei videoclip di Liberato firma una variazione sul “genere Gomorra” ambientata nel mondo delle tifoserie.

Ultras, la recensione del nuovo film Netflix con Aniello Arena
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In principio fu Romanzo Criminale - La Serie. Poi Stefano Sollima, che prima di adattare per il piccolo schermo il libro di Giancarlo De Cataldo si era avvicinato al poliziesco televisivo con La squadra e Crimini, riversò in Gomorra un'idea di crime inedita per il nostro Paese e per il resto del mondo, in cui la malavita intrecciava le sue storie con ragazzi giovanissimi, appena adolescenti. La paranza dei bambini, di Claudio Giovannesi, ma anche, per certi versi, La terra dell'abbastanza dei fratelli D'Innocenzo, sono solo alcuni esempi che seguono il solco di un vero e proprio genere, giocando attraverso piccole o grandi variazioni di forma e contenuto.
Francesco Lettieri, all'esordio cinematografico dopo tanti videoclip tra cui quelli per il rapper napoletano Liberato, sembra percorrere la stessa via. I rapporti di forza e di gerarchia tra la vecchia guardia di una tifoseria ultras e le giovani leve che fanno di tutto per dimostrare il loro valore assomigliano infatti alle dinamiche di appartenenza e di rivalità tra clan nemici.
Il risultato è un'opera prima coerente ma tutto sommato convenzionale in cui alle buone intenzioni del soggetto non corrisponde uno sviluppo particolarmente ispirato e originale.

Ottimi spunti

Il gruppo ultras al completo, tra cori, bandiere e fumogeni, al cospetto di un Apache che si sposa, dopo che la macchina da presa ha seguito l'arrivo in moto davanti alla chiesa del protagonista, un (ex?) leader che tutti accolgono con grande rispetto, è davvero un grande inizio. Anche perché, col senno di poi, quel presentarsi in ritardo, come tutte le migliori sequenze d'apertura che contengono in nuce il senso del film, rivela molto di più di ciò che potrebbe sembrare. Gli Apache, nome di fantasia, sono una frangia della curva del Napoli in cui gli "anziani" sono tutti diffidati dall'accedere agli stadi. A malincuore, dunque, divisi tra le necessità del tifo e il rischio di veder usurpato il loro storico potere, sono costretti a fare largo alla nuova generazione, un gruppo di ragazzi appassionati e agguerriti.

Aniello Arena, bravissimo tanto quanto in Reality di Matteo Garrone, è un capo ultras cinquantenne intenzionato a ridimensionare il tifo, un po' per l'età, un po' per l'incontro con una donna, Antonia Truppo, anch'essa attrice di razza vincitrice di due David di Donatello (Lo chiamavano Geeg Robot di Gabriele Mainetti e Indivisibili). Ha inoltre un rapporto speciale, una sorta di padre putativo, col figlio adolescente di una vecchia fiamma, affascinato dagli Apache, di cui fa parte.
Oltre alla prima sequenza, non mancano altri ottimi spunti, come la scena in cui Sandro (Arena) racconta un aneddoto al giovane Angelo mentre srotolano insieme un lungo striscione tra le rovine di una chiesa. La fede, la nostalgia, il tramonto di una stagione gloriosa, tutto ancora in poche immagini emblematiche.

Il rispetto dei canoni

Ciò che manca a Ultras è la capacità di dire qualcosa di nuovo sia sul tifo violento che sulle dinamiche di affiliazione raccontate da Gomorra e dai suoi epigoni. Lettieri utilizza il tema delle curve pericolose per raccontare (anche) una classica storia crime crepuscolare, quella in cui l'antieroe si allontana dalla propria violenta professione a causa degli anni che passano, della scoperta dell'amore o di entrambe le cose. Il regista è bravo a seguire la lezione del noir americano, che in questi casi porta la vicenda alla fatidica "ultima missione", mossa dalle intenzioni più nobili, prima di cambiare vita e godersi la tranquillità e gli affetti del pensionamento.
Tuttavia, se da una parte il passaggio dal corto/videoclip al lungometraggio avviene nel rispetto dei canoni cinematografici, dall'altra sembra soffrire l'onore e l'onere di sfruttare appieno un attore come Arena. Considerando gli ottimi lavori non solo per Liberato, che firma le musiche, ma anche per Motta, Calcutta e molti altri della nuova scena musicale italiana, forse Lettieri sarebbe stato più a suo agio con una storia ambientata tra soli ragazzi e adolescenti.

In effetti, i passaggi generazionali che lasciano la messa in scena libera di soffermarsi su Angelo, la sua cerchia di amici e gli ultras di poco più grandi, sono quelli più riusciti e capaci di raccontare efficacemente un mondo già narrato ma ancora da esplorare.
Ne risulta un film solido, che indovina degli ottimi momenti di regia ma che poteva spingersi oltre, laddove il rapporto tra il sud e i suoi giovani figli dimenticati, come giustamente suggerisce la scritta (Tutta colpa della disoccupazione) che sfregia le mura della questura, può ancora suggerire felici e inedite intuizioni.

Ultras Francesco Lettieri passa dal videoclip al lungometraggio raccontando il mondo delle tifoserie. La storia è quella di un capo ultras cinquantenne diviso tra i compagni di tifo, il rapporto con un ragazzo ansioso di dimostrare di valere quanto lui e l’incontro con una donna (Aniello Arena e Antonia Truppo sono entrambi bravissimi). Il film gode di ottimi spunti e di una buona regia, rivisitando il "mito" dell’antieroe in declino che con l’ultima avventura vuole cambiare vita e abbandonare la violenza. L’idea è solida ma lo sviluppo segue binari già noti senza dirci qualcosa di davvero nuovo sulle curve e sulla questione complessa tra il sud e i ragazzi. Tuttavia, Lettieri è abile nel mettere in scena i rapporti di forza e le gerarchie tra vecchie e nuove generazioni, queste ultime ritratte con maggior efficacia.

6.5

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