L'ultimo paradiso, la recensione del film Netflix con Riccardo Scamarcio

Rocco Ricciardulli prende spunto da un fatto di cronaca per raccontare una storia d'amore e morte che attraversa il complesso dramma del caporalato.

L'ultimo paradiso, la recensione del film Netflix con Riccardo Scamarcio
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Sul finire degli Anni Cinquanta, in un paesino della Puglia, Ciccio è un coltivatore sposato con Lucia e padre di un bambino. L'uomo ha da tempo iniziato una relazione clandestina con la bella Bianca, figlia di Cumpà Schettino, il proprietario terriero che fa il buono e il cattivo tempo nella zona.
Il legame tra i due è sulla bocca di tutti, con la stessa Lucia e la famiglia di Ciccio che sopportano a fatica il tradimento, mentre il padre della ragazza ne è ancora all'oscuro. Ma Ciccio ha ben altri problemi di cui occuparsi, dato che decide di caricarsi sulle proprie spalle la rabbia dei suoi compaesani, stanchi di essere sfruttati e sottopagati.
Quando la situazione prende una piega del tutto imprevista e dai tragici sviluppi, entra in scena Antonio, il fratello di Ciccio che da anni si è trasferito al Nord Italia e che intende perseguire la missione di giustizia iniziata dal consanguineo.

Dal paradiso all'inferno

Fortemente voluto da Riccardo Scamarcio, che oltre a ritagliarsi il ruolo di duplice protagonista lo ha anche prodotto e co-sceneggiato, L'ultimo paradiso sbarca direttamente nel catalogo Netflix come original.
Il film è la seconda prova dietro la macchina da presa del regista lucano Rocco Ricciardulli, a quattro anni dall'esordio con il drammatico All'improvviso Komir (2016), e anche in questo caso lo script non ci va leggero per quanto riguarda la cupezza della narrazione e delle atmosfere, rimarcando ancora una volta le ingiustizie che avvengono ogni giorno nel Bel Paese.
Certo la storia - ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto - è ambientata negli anni '50, ma certe dinamiche sono dure a morire e forse proprio in questo risiede la principale chiave di lettura di un'operazione altrimenti fiacca e prevedibile, che agisce su risvolti forzati fino a quel finale che appare improbabile se non del tutto assurdo, una sorta di castrante lieto-fine dal taglio visionario, che vorrebbe alleggerire i passaggi più duri visti in precedenza.

Il tempo degli ulivi

L'ultimo paradiso rischia fin dai primi minuti di innescare una ridondante reiterazione di eventi, con il legame che lega Ciccio, Antonio e la bella Bianca a originare progressivamente un atipico ménage à trois capace di sconfiggere anche la morte.
Risulta così parzialmente grottesco, per quanto giustificabile, lo sdoppiamento di Scamarcio nelle vesti dei due fratelli: uno con i baffi, l'altro senza.
Nonostante tutto la performance dell'attore pugliese, qui a casa nel relativo contesto narrativo e dialettale, rimane uno degli spunti più positivi dei cento minuti di visione. Il resto infatti è tutto fuorché memorabile, con una gestione del suddetto setting improvvisata su cliché e stereotipi, con l'omertà che vince ancora una volta sulla giustizia e la vendetta quale unica forma per pareggiare i conti.
Il borgo di Gravina, suggestivo nel suo essere rustico, fa così da sfondo a questa passionale vicenda a tinte torbide, revenge-story che riflette sul tema del caporalato in maniera meno incisiva del previsto.
Questo per via dei già accennati limiti di scrittura e di una certa imprecisione nel tratteggio delle figure chiave, con un evidente squilibrio tra quelle principali e le secondarie che in talune occasioni avrebbero meritato maggiore spazio.

L'ultimo paradiso perde così ben presto di interesse, per via di situazioni e riflessioni di facile lettura che difficilmente sorprenderanno il pubblico più smaliziato, rivelandosi più adatte forse per il mercato televisivo - e non è un caso che il film sia stato cofinanziato da Mediaset.

L'ultimo paradiso Il dramma dei braccianti, costretti a massacranti turni di lavoro per un misero guadagno, finisce ben presto in secondo piano per far spazio alle diatribe romantiche e alle successive dinamiche da spenta revenge-story che prendono il sopravvento sulla storia e sui personaggi. L'ultimo paradiso vorrebbe far riflettere sul tema del caporalato, attuale ora come allora - il film è ambientato in Puglia negli Anni Cinquanta - ma preferisce poi concentrarsi su un atipico triangolo di amore e morte più affine al mondo delle fiction televisive, lasciando da parte il buon potenziale narrativo che le premesse parevano suggerire. Riccardo Scamarcio, nella triplice veste di protagonista, produttore e co-sceneggiatore, magnetizza su di sé le attenzioni della macchina da presa, con tanto di doppio ruolo gestito con relativa semplicità, e Rocco Ricciardulli sembra talmente attratto da lui da dimenticarsi di esprimere e caratterizzare degnamente il pur numeroso contorno. L'atmosfera popolare, che si fregia del suggestivo fascino del borgo di Gravina, ne esce così in un ritratto sbiadito, che non rende onore alle pur meritevoli intenzioni di partenza.

5

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