Recensione Ugly - Brutti

Torna Anurag Kashyap, con una storia di rapimento che innesca le brutalità umane

Recensione Ugly - Brutti
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Poliziotti violenti e autoritari, rapitori di bambini, strade invase dalla polvere di palazzi ormai ridotti a macerie, come scheletri vuoti al cui interno si accasciano vagabondi ubriachi, mentre un’umanità sotterranea ed anonima sogna nel chiuso della propria abitazione una via d’uscita, decisa a raggiungere il proprio obiettivo. Con ogni mezzo. C’è un’altra Manila dietro quella dei musical di Bollywood, una metropoli caotica e oscura, nella quale perdersi è un attimo. Rahul è un attore, o almeno un aspirante tale; vuole sfondare, fa esercizi per tenersi in forma e va ad un casting dopo l’altro, ma lui vuole fare solo l’eroe, e non lo prende nessuno. Nel frattempo si arrangia come può, vendendo Iphone per pagare gli alimenti all’ex moglie Shalini, con la quale ha cresciuto la figlia Kali. Ma ora Kali e Shalini non vivono più con lui ma con Bose, brutale commissario di polizia e un tempo compagno di studi di Rahul, fino a quando questi non lo umiliò davanti a tutti con un pestaggio selvaggio. Il loro è un triangolo ancora esplosivo, carico di tensioni e rabbie a stento sopite, che troveranno la loro strada per emergere quando Kali viene rapita, scomparsa dalla macchina in cui Rahul l’aveva lasciata. Il rapimento della figlia di 10 anni però non porterà ad una massiccia caccia all’uomo per le strade di Manila, no, perché tutti i protagonisti coinvolti saranno troppo occupati a sfruttare l’accadimento per ricavare il massimo possibile per sé stessi, rubando e ingannando, scatenandosi l’uno contro l’altro come cani feroci, per le strade selvagge di una città in cui pare persa ogni forma di controllo.

the dark side of Bollywood

Inizia nel migliore dei modi possibile Festa mobile qui al Torino Film Festival, che dopo il delizioso omaggio alla nouvelle vague di Noah Baumbach e il suo Frances Ha, ci regala questo Ugly, un thriller-noir lucido e spietato, splendido esempio di come il genere possa vivere momenti altissimi anche al di fuori delle cinematografie occidentali cui viene solitamente associato. Per chi ha avuto la fortuna di seguirlo - purtroppo di questo cinema arriva pochissimo qui in Italia -, il regista e sceneggiatore Anurag Kashyap ce lo ricorda da diversi anni che dietro l’India della Bollywood più colorata e pittoresca esiste una fucina di storie criminali che non aspettano altro che essere raccontate. E Kashyap lo fa dannatamente bene, portandole in giro per i principali festival mondiali come è stato per questo Ugly, presentato pochi mesi fa nella Quinzaine des réalisateurs a Cannes, dove già l’anno scorso riscosse un grandissimo successo il precedente Gangs of Wasseypur, epica criminale in due episodi incentrata sulla lotta tra le più grandi famiglie mafiose indiane.

Alla ricerca di Kali... o forse no

Esempio da manuale di MacGuffin hitchockiano, Ugly finge di raccontare la ricerca di Kali da parte del padre e della polizia, ma in realtà il rapimento della ragazza è solo un escamotage narrativo, usato da Kashyap per portare alla luce la ferocia e gli egoismi sedimentati nei cuori dei suoi personaggi, spaccato di una società indiana ossessionata dal successo nella quale non esiste più legge o rigore morale. La strategia è simile a quella usata dai fratelli Coen in Fargo, in cui un finto rapimento fa partire un’indagine che alla fine serve a raccontare i lati banalmente più oscuri dell’essere umano. Ma a differenza dei due autori americani, Kashyap non pone mai il filtro del grottesco tra sé e i personaggi oggetto del suo sguardo, non allenta mai la tensione, se non con la sottile ironia di alcune scene comunque tanto paradossali per i protagonisti da risultare kafkiane. Nel film domina un costante senso di asfissia, alimentato dai tentativi sempre più azzardati e disperati dei protagonisti di rivolgere la situazione a loro favore. Certo, alla fine della narrazione non tornano tutti i pezzi della storia, troppo densa e complessa per riuscire a tenere tutto al suo posto, ma il film riesce comunque a convincere e coinvolgere, superando i limite della mera verosimiglianza. E il merito va soprattutto alla resa registica di Kashyap, semplicemente fenomenale. Perché mentre la narrazione sorprende e affascina con un ritmo serrato e un uso molto maturo e asciutto dei flashback, non si può che rimanere totalmente conquistati dallo spessore delle immagini di Ugly. Dalla fotografia al neon che pare consumare lentamente i corpi degli attori, dalle scenografie derelitte e abbandonante che rivelano il lato più oscuro di una città persa nelle sue contraddizioni, da fluide riprese in steady che attraversano lentamente gli spazi alimentando un senso di allucinazione, dai ralenti calibrati al millimetro, porosi e verdastri come solo certe immagini notturne di Michael Mann.

Ugly - Brutti Pressoché sconosciuto al pubblico occidentale, Anurag Kashyap è sicuramente uno dei più importanti registi del cinema indiano contemporaneo, capace di riscrivere le regole del genere e raccontare attraverso imponenti storie criminali le contraddizioni del proprio paese. Dopo l’epica mafiosa di Gangs of Wasseypur, con Ugly Kashyap restringe il campo d’azione, concentrandosi su una famiglia di Mumbai dilaniata da un rapimento. L’indagine criminale però è solo un escamotage narrativo, usato per portare alla luce la ferocia e gli egoismi sedimentati nei cuori dei personaggi, spaccato di una società indiana ossessionata dal successo nella quale non esiste più legge o rigore morale. Un thriller-noir lucido e spietato, sorretto da uno sguardo registico decisamente fuori dal comune.

8

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