Recensione Two Mothers

La regista Anne Fontaine porta sullo schermo lo scandaloso racconto di Doris Lessing 'Le nonne'

Recensione Two Mothers
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Eros e trasgressione: un binomio quasi inscindibile, alla base di tanta letteratura e di tantissimo cinema, ma al contempo una tematica con la quale è assai difficile confrontarsi: vuoi per l’intimità dell’argomento, vuoi perché una materia come la sessualità, quando è portata all’estremo, non è certo semplice da raccontare, né tantomeno da rappresentare sullo schermo. Era una sfida ambiziosa, pertanto, quella della regista lussemburghese Anne Fontaine, che dopo aver trasformato Audrey Tautou in una delle stiliste più famose del mondo in Coco avant Chanel, e dopo aver fatto ballare una scatenata lap-dance ad una severissima Isabelle Huppert ne Il mio migliore incubo!, per il suo primo film in lingua inglese sceglie di confrontarsi con un importante soggetto letterario: Le nonne, un racconto firmato dall’autrice premio Nobel Doris Lessing e trasposto al cinema con il film Two mothers.

A dir la verità, la Fontaine si era già occupata di esplorare i tortuosi meandri della sessualità umana dieci anni fa con Nathalie, con l’ambiguo triangolo formato da Emmanuelle Béart, Fanny Ardant e Gérard Depardieu (con tanto di remake americano, Chloe di Atom Egoyan, con Julianne Moore). E anche Two mothers, in fondo, sembra voler indagare la natura imprevedibile e indomabile del desiderio, adottando il punto di vista di due mature ma nondimeno piacenti donne australiane: Lil e Roz, amiche inseparabili fin dall’infanzia, che qui hanno i volti diafani ed affascinanti delle attrici Naomi Watts e Robin Wright. Legate da una complicità che, talvolta, si configura come un’indefinibile forma di simbiosi, le due donne stanno trascorrendo una placida estate nelle loro case contigue, affacciate sul panorama idilliaco di una solitaria spiaggia australiana. Un autentico locus amenus, un minuscolo angolo di paradiso separato dal resto del mondo, in cui Lil e Roz hanno deciso di includere soltanto i rispettivi figli, due aitanti ventenni che rispondono ai nomi di Ian (Xavier Samuel) e Tom (James Frecheville).

Due madri

Un singolare circolo, perfettamente geometrico, dal quale sono escluse invece le figure paterne: uno, il padre di Ian, è morto quando lui era appena bambino; l’altro, Harold (Ben Mendelsohn), è un accademico che ha appena ottenuto una prestigiosa cattedra a Sydney, e pertanto è spesso lontano per lavoro. Nel frattempo le due madri, all’apice della propria femminilità, quasi senza accorgersene posano ciascuna lo sguardo sul figlio dell’altra - anche se in verità sono proprio i due ragazzi a prendere l’iniziativa - e, nell’arco di una notte, si ritrovano avvinghiate in un duplice rapporto di passionale follia. E qui subentra il dilemma delle due protagoniste: ritornare alla quieta “normalità” di rispettabili quarantenni borghesi o vivere fino in fondo una relazione totalizzante che va a toccare alcuni dei principali tabù sulla sessualità? Perché in fondo, al di là della squallida dialettica contemporanea della milf e del toy-boy, Two mothers sembrerebbe evocare ben altri “spettri”: l’incesto, innanzitutto, come se i due giovani rappresentassero per la relativa amante il simulacro del proprio stesso figlio (e quindi un tabù infranto per “interposta persona”); ma anche l’omoerotismo latente che pare aleggiare fra Lil e Roz, e che la sceneggiatura rimarca in più di un’occasione.

Feticci

Sulla carta, dunque, le potenzialità per approfondire una materia tanto complessa, inducendo anche un notevole turbamento nello spettatore, ci sarebbero eccome (e con una fonte letteraria di tal genere non avrebbe potuto essere altrimenti). Peccato che invece, nel passaggio dal romanzo allo schermo, tali potenzialità vengano dissipate in un improbabile pasticcio narrativo, che sconta essenzialmente un grande limite: l’incapacità di definire con precisione un tema, una prospettiva, un registro, per poi portarli coraggiosamente fino in fondo. All’inizio, in effetti, il film della Fontaine risulta non poco intrigante: la precaria serenità familiare dietro cui si celano pulsioni inespresse; i corpi muscolosi ed abbronzati dei due giovanotti trasformati in feticci sessuali; il senso di disagio misto ad eccitazione voyeuristica che la storia riesce a far trapelare. Ma poi Two mothers si perde quasi subito fra brevissime sequenze erotiche fin troppo patinate (e paradossalmente ‘caste’), una progressione psicologica totalmente assurda (dal momento che l’approccio della Fontaine pretenderebbe di apparire realistico) e dialoghi e situazioni che scivolano clamorosamente nel ridicolo involontario.

Se a tutto questo aggiungiamo che il copione della pellicola è stato firmato, con l’apporto della Fontaine, da un talento del calibro di Christopher Hampton, autore di un apprezzatissimo adattamento teatrale del capolavoro di Choderlos de Laclos Le relazioni pericolose, nonché della sceneggiatura premio Oscar della magnifica trasposizione cinematografica di Stephen Frears datata 1988, la delusione assume proporzioni ancora maggiori. Gli interessanti risvolti del racconto della Lessing - l’irrazionalità dell’istinto sessuale contrapposto all’ineluttabilità dell’invecchiamento - sono banalizzati da una messa in scena e da un percorso drammaturgico privi del giusto equilibrio e di un’adeguata cifra stilistica. Parlando di erotismo, sessualità e trasgressione, Two mothers sconta il paragone con pellicole di ben altra potenza (per citare giusto due titoli esemplari, Il danno di Louis Malle, dal romanzo di Josephine Hart, e La pianista di Michael Haneke, dal libro di Elfride Jelinek): troppo timoroso, convenzionale e confuso per saper colpire veramente la sensibilità dello spettatore, o per imprimersi nel suo immaginario.

Two Mothers La regista Anne Fontaine porta sullo schermo il racconto di Doris Lessing Le nonne, mettendo in scena la trasgressiva quanto travolgente passione erotica di due amiche quarantenni nei confronti dei rispettivi figli; ma le scelte di messa in scena e la sceneggiatura di Christopher Hampton non sostengono adeguatamente un soggetto tanto delicato e complesso, dando vita ad un film confuso e con momenti al limite del ridicolo.

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