Recensione Total Recall - Atto di forza

Colin Farrell prende il posto che fu di Schwarzenegger nel remake del classico di Paul Verhoeven

Recensione Total Recall - Atto di forza
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“Ricordiamo per voi”. “Ricordi in vendita”. “Chi se lo ricorda?”. “Ricordi per tutti”. Tante sono state le edizioni italiane di “We Can Remember It For You Wholesale”, racconto dell'immortale Philip K. Dick, autore di tante storie utilizzate, più o meno ufficialmente, per il cinema. Dal classico Blade Runner al noto Minority Report, fino al più recente (e sottovalutato) I Guardiani del Destino. Un'eredità, quella di Dick, che ha contribuito a creare un immaginario, non solo fantascientifico, e che continua, e continuerà a lungo, ad ispirare la fantasia di autori e sceneggiatori.
Tanto da far riproporre, ancora una volta, all'attenzione di pubblico e critica un nuovo film ispirato al racconto di cui dicevamo in apertura. Già, nuovo, perché è, difatti, la seconda volta che le disavventure di Douglas Quaid finiscono al cinema. Ci aveva già pensato nel 1990, infatti, il mitico Paul Verhoeven con Total Recall (qui da noi Atto di forza) in uno dei film più famosi della carriera di Arnold Schwarzenegger. Ci riprova, in un periodo denso di reboot e remake, Len Wiseman, autore della saga Underworld (nonché regista dei primi due), dopo un'incursione in un altro classico americano degli anni '90, Die Hard, col quarto capitolo della saga, Vivere o morire.

Total Final Fantasy Recall

Chiamatela “deformazione professionale”, ma spesso ci capita di notare, nei film dei registi che rientrano più o meno nella generazione cresciuta coi videogiochi, riferimenti ai titoli più famosi. In questo caso, più che rifarsi alle atmosfere Dickiane originali, Wiseman ci ha dato la forte impressione, in più di un'occasione, di aver preso ispirazione da Final Fantasy VII: Colin Farrell, difatti, sembra spesso aggirarsi tra le strade di Midgar, a sua volta, per certi versi, ispirata a Blade Runner.

Do you recall?

Protagonista, questa volta, un empatico Colin Farrell -alla sua seconda esperienza coi mondi cyberpunk Dickiani dopo Minority Report, del 2002-, accompagnato dall'immancabile moglie del regista, Kate Beckinsale (la Selene della saga di Underworld), dall'altra action-girl Jessica Biel, dal Bryan Cranston di Drive e dall'altro attore-feticcio di Wiseman, Bill Nighy.
Il film è a tutti gli effetti un remake del film di Verhoeven, visti i numerosi rimandi esclusivi alla pellicola, ma strizza un occhio a nuove interpretazioni della novella originale, a cui comunque paga tributo...

Douglas Quaid (Colin Farrell) è un operaio di una fabbrica che costruisce poliziotti sintetici, la cui vita si srotola sempre uguale, scandita da turni di lavoro interminabili da cui spera di affrancarsi con una promozione, per la quale lavora sodo. Giorno dopo giorno, Quaid si reca al lavoro tramite un avveniristico mezzo di trasporto di massa denominato “The Fall”, sorta di ascensore gravitazionale che permette di viaggiare dall'Australia (denominata, dopo le Guerre Chimiche che hanno decimato la popolazione mondiale e distrutto gran parte del pianeta, La Colonia) all'Europa (detta ora Federazione Unita di Britannia) in appena 17 minuti, attraversando letteralmente il centro della Terra. Perseguitato da strani incubi, stanco e insoddisfatto -nonostante la presenza dell'adorabile e bellissima mogliettina Lori (Kate Beckinsale)-, Douglas in un attimo di debolezza decide di recarsi alla Rekall, ditta che commercia in sogni e ricordi indotti. Qualcosa, però, va storto, e l'uomo comincia una forsennata fuga in cerca della verità, ritrovandosi al centro di un complotto dalle implicazioni globali...

Intreccio di remake

Accostarsi a un classico -per di più della fantascienza- per un remake è sempre un'operazione rischiosa, perché quasi sempre, secondo i dettami hollywoodiani moderni, ad effetti speciali più spettacolari corrisponde anche una maggiore attenzione alla battuta facile, all'azione sfrenata, e al contempo una minore cura delle atmosfere utopiche/distopiche che dovrebbero essere alla base del genere.
Certo, il film di Verhoeven era un action esso stesso, figlio di quel (a detta di molti meraviglioso) ponte tra gli anni '80 e '90, incarnato non a caso dal granitico Schwarzy, ma non mancavano certo gli spunti di riflessione tipici della produzione del regista fino a quel momento (si pensi a Robocop).
La domanda, dunque, è “Chi gliel'ha fatto fare a Wiseman?”. La risposta può essere benissimo “In fondo, perché no?”. Del resto, anche il suddetto film non era che un adattamento, molto personale, della novella dickiana, e da un'idea possono sorgere mille contesti e mille soluzioni differenti. E difatti, sebbene diversi elementi del film del 1990 vengano riproposti e omaggiati (più o meno gratuitamente) l'approccio per certe cose è decisamente diverso.
A partire dal desiderio stesso del protagonista: non più (l'essere un agente segreto su) Marte, quanto l'essere un agente segreto, vivere una vita fuori dall'ordinario, regolata in ogni suo attimo dal 'sistema'. Il Pianeta Rosso non viene neanche nominato nel film di Wiseman, così come non esistono creature mutanti e il setting del film è un contesto geo-politico che, seppur basato su trovate scientificamente improbabili (una fra tutte il giga-ascensore gravitazionale), si prospetta come pseudo-realistico, mettendo Doug non solo nella scomoda situazione tra il dover scegliere tra ciò che è realmente e ciò che potrebbe essere, ma anche del dover prendere le parti di un conflitto politico di difficile soluzione. Chiaramente il tutto può far storcere il naso agli affezionati del film originale, ma non è un male di per sé, anzi, denota una voglia di lavorare ed espandere un soggetto piuttosto che accontentarsi di un rifacimento più o meno fedele.

Il problema è cosa si vuole trasmettere: Wiseman se la cava sempre bene con i canovacci d'azione, e crea anche dei bei contesti in cui svilupparla, ma effettivamente si ferma lì. Il film, in se e per se, funziona, intrattiene, diverte e affascina addirittura a tratti, ma non ha davvero nulla di transcendentale per il quale verrà ricordato in futuro. Volendo, partendo dallo spunto geopolitico, Wiseman poteva creare un nuovo universo narrativo da sfruttare in eventuali sequel, ma si è deciso di partire dal traino del nome famoso, a quanto pare.
Per il resto, abbiamo un Colin Farrell piuttosto in parte e abbastanza convincente nel suo duplice ruolo, una Kate Beckinsale nell'inedita veste di 'cattiva' ma, anche una Jessica Biel piuttosto spenta e più insipida del solito, effetti speciali decisamente ottimi e ben integrati, ma anche un po' di buchi in sceneggiatura e leggerezze tecniche (vedi la scena del pianoforte) che potevano essere benissimo evitati, portando il film su livelli di concretezza migliori.

Total Recall L'ennesimo remake inutile? Forse sì, ma perlomeno non è un remake brutto. Atto di forza in versione 2012 è un film abbastanza ben congegnato e realizzato, ma che alla fine è tutta apparenza spettacolare e poca sostanza. Curioso il gioco di rimandi con l'originale degli anni '90, ma alcune soluzioni improbabili e l'eccesso di buonismo dimostrato (perlomeno rispetto ai film dell'epoca del machismo reaganiano) lo relegano a un divertissment funzionale, ma disimpegnato.

6

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