Top Gun Maverick Recensione: il sequel con Tom Cruise vola alto

36 anni dopo il cult di Tony Scott, Tom Cruise torna in cabina di pilotaggio per una storia di cuore e sostanza, adrenalinica, spericolata ed emozionante.

Top Gun Maverick Recensione: il sequel con Tom Cruise vola alto
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Top Gun non è solo un film, ma un preciso modo di pensare il cinema. Uscito nell'86, il secondo lungometraggio di Tony Scott ha scritto la storia dei cult della Settima Arte, forse tra i titoli più rapidi ad assurgere a un tale status, immediato, ragionato, incalzante, ricco di cuore e visione. Sdoganò il talento del minore degli Scott in una prova registica difficile e totalizzante, rubando per sempre il cuore alla generazione dei fantastici '80 e crescendo quella dei '90 con il mito di bellezza e velocità, incarnate su grande schermo da un allora giovanissimo Tom Cruise. Un prodotto invecchiato bene come il suo protagonista, con gambe ancora forti e un fisico temprato nonostante le evidenti rughe del tempo. Un film spericolato ed emozionante, Top Gun, pure se la tecnologia dei tempi e i limiti strutturali del progetto non consentirono al regista né all'attore di prendere realmente quota con i fantastici F-14, arrangiandosi tra ricostruzioni in studio e riprese dettagliate di manovre e acrobazie di routine, compresi gli spettacolari decolli dalle portaerei militari.

Ora, a 36 anni di distanza da quel titolo che appartiene di diritto all'Olimpo degli indimenticabili, Tom Cruise torna a vestire i panni dell'irriducibile Pete Mithcell, in un sequel dedicato proprio a quel modo di pensare il cinema plasmato nel tempo dallo stesso interprete, dalla sua tempra inossidabile, da un impressionante mix di testardaggine e starpower. E la verità è che Top Gun: Maverick è uno dei migliori sequel "nostalgici" mai apparsi finora al cinema, con qualcosa da raccontare e un senso d'adrenalina da sperimentare solo ed esclusivamente sul più grande degli schermi possibili (non a caso Top Gun Mavericks è stato promosso anche da Hideo Kojima).

Ritorno a scuola

Sembrava impossibile replicare senza imitare passo dopo passo le atmosfere e la profondità cinematografica di uno dei cult più amati di sempre, eppure Paramount Pictures, Joseph Kosinski e ovviamente Cruise ci sono riusciti, confezionando un lungometraggio figlio dei nostri tempi ma con uno sguardo rivolto a un glorioso e ammiccante passato.

E infatti il pilota perde il pelo ma non il vizio, dando modo allo spettatore di riconoscere all'istante l'indomito carattere di Mitchell, divenuto capitano di vascello pluri-decorato e ancora innamorato di aerei e adrenalina. Neanche a dirlo, quando disobbedisce a un ordine diretto di un suo superiore, Maverick si vede costretto a rientrare alla TOPGUN, la scuola di combattimento per i migliori piloti della marina militare statunitense, questa volta come insegnante. Il suo compito è quello di addestrare e poi scegliere sei allievi per una missione quasi impossibile, "da due miracoli in uno", dovendo affrontare nel mentre il difficile rapporto con il figlio di Goose, Bradley "Rooster" Bradshaw, e scoprendosi mano a mano più saggio nella sua comunque inarrivabile e carismatica temerarietà.
Sta tutta qui l'anima narrativa del sequel, in parte scritto (o ri-scritto) dal sodale cruisiano McQuarrie, che mette in campo un chiaro e intelligente concpet di rimando al primo capitolo, prendendone saggiamente la scia, affiancandolo nella costruzione psicologica delle relazioni - compresi gli immancabili cliché - e superandolo infine senza alcuna remore nell'innovazione cinematografica. Un merito che va prima al controllo produttivo di Cruise, a suo modo lungimirante e pulito, poi ai dialoghi imbastiti da McQuarrie, Ehren Kruger ed Eric Warren Singer, e infine ai protagonisti scelti, capaci di incarnare alla perfezione i ruoli della nuova elite targata TOPGUN.

A parte la costante presenza di Cruise, Maverick è un film tendenzialmente corale, un tiro alla fune tra caratteristi per conquistarsi il pubblico una scena dopo l'altra, tra l'arrogante bulletto di turno (l'Hangman Glen Powell), l'unica donna badass del gruppo ("Phoenix", con il volto di Monica Barbaro), l'introverso ma pungente Bob (un credibile Lewis Pullman) e Rooster. A calarsi nei panni di quest'ultimo c'è un sempre bravo Miles Teller, crasi concettuale e psicologica tra Goose e Maverick, per physique-du-role e performance.

Da citare anche il ruolo di una sorta di "Viper" alternativo interpretato da Jon Hamm e l'interesse amoroso di Mithcell, Penny, incarnata da una splendida Jennifer Connelly, in parte ispirata alla "Charlie" di Kelly McGills, purtroppo assente nel sequel - senza particolare peso specifico sulla trama. Non mancano poi sorprese commoventi (qualcuno ha detto Val "Iceman" Kilmer?), così come fondamentali e molto emozionanti risultano le tematiche della perdita, dell'eredità e della rinascita, quasi fosse un percorso terapeutico per due generazioni opposte partite da estremi differenti per ricongiungersi e infine comprendersi.

Need for speed

Al netto di tanta bontà malinconica e di scrittura, soprattutto per un blockbuster anni '20 che vuole disperatamente vestirsi di Eighties, la verità è che a elevare al di sopra di tanti competitor di settore Top Gun: Maverick è il coraggio del virtuosismo tecnico, la spettacolarità dell'azione e la dinamicità di sequenze e riprese, qualcosa di davvero unico e mai sperimentato prima.

Senza nasconderlo, è questo il vero punto forte del sequel, la ratio principale d'esistenza di un prosieguo legato a doppia corda all'evoluzione tecnologia e alla follia di una produzione assoggettata alla spavalderia e alle conditio sine qua non di Cruise. Focalizzandosi sulla fine dell'era delle dogfight e l'inizio di quella dei droni, tanto nei contenuti quanto nell'aspetto visivo il film si concentra sull'insostituibilità dei piloti e sull'elemento umano dentro i jet da combattimento. Si apre così di grazia alla narrazione nell'azione, mettendo letteralmente all'interno degli abitacoli degli aerei della Marina Militare Cruise e i suoi comprimari (ma non gli F-18 Super Hornet veri e propri), che si fanno al contempo interpreti e registi, dovendo gestire in volo la struttura cinematografica stessa dell'azione. È un qualcosa di tangibile ed evidente, tra pressione e gravità deformanti e rombi di motori e muri del suono infranti che sconquassano la sala, intanto assuefatta a tanta spettacolarità. Nell'imitare con estremo rispetto il mood iniziale ideato all'epoca da Tony Scott, Kosinki e Cruise regalano una sequenza d'apertura avvincente e visivamente superlativa, da Mach 10 filmografica, con un crescendo musicale penetrante e travolgente (ottime le composizioni di Harold Faltermeyer e Hans Zimmer).

Nel desiderio di ricordo si ripete accennata appena la struttura del primo Top Gun, muovendosi poi in direzione molto più spericolata ed entusiasmante in senso immaginifico. L'addestramento è un susseguirsi di manovre spericolate e insegnamenti ai limiti del plausibile, con un Tom Cruise divertito e sempre in parte, ancora perfetto, ancora Maverick in tutto e per tutto. Ma è nei quaranta minuti finali che il film dà forse il suo meglio, elevando con dedizione e un action storytellig tra i migliori mai visti nel genere il senso stesso di cinema, portandoci a vivere un'esperienza d'impatto disarmante, tesa e straordinaria, a tratti inaspettata e di sincera eccitazione, toccante passione.

È sbalorditivo e straniante l'effetto emozionale e viscerale che un'azione in volo pensata e confezionata così bene può avere sul cuore e sulla testa dello spettatore, sia cinefilo che fan. Qualcosa da sperimentare in presa diretta, indescrivibile. E al netto di qualche dilungamento nel pur semplice intreccio, in una ripetizione quasi standardizzata d'eventi (dove relazioni e azioni risultano capitali ai fini della riuscita del tutto), Top Gun: Maverick riesce a ripetere con modernità, rispetto e cura il miracolo compiuto nell'86 da Tony Scott: proporre un modo unico e innovativo di fare cinema.

Top Gun: Maverick Top Gun: Maverick è uno dei sequel più riusciti e innovativi della storia del cinema. L'impianto narrativo è standardizzato ma in equilibrio, in uno storia di lutto, eredità e rinascita dove Tom Cruise resta mattatore assoluto in gioco, circondato da comprimari caratteristi in continuo tiro alla fune per conquistare di volta in volta la scena. Bravo Miles Teller nel ruolo di "Rooster", fondamentale ai fini della crescita emotiva e psicologica di Pete - e viceversa -, così come Jon Hamm nei panni del "nuovo" Viper. Dove il film si fa quasi miracoloso e davvero unico è però nell'impianto visivo e d'azione, in uno storytelling dinamico e spericolato che entra nell'abitacolo dei jet fighter insieme ai suoi interpreti, rendendoli al contempo attori e anche registi (in parte) delle spettacolari sequenze di volo. Avvincenti le scene d'addestramento, assolutamente fuori parametro gli ultimi 40 minuti finali, per emozione, dedizione, spettacolarità e logica cinematografica. C'è fedeltà e amore per un glorioso passato ma anche la voglia di guardare avanti, oltre l'orizzonte del possibile e sperimentato. Un cinema nostalgico e sconquassante, un modo spericolato di pensare in grande.

8.5

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