Recensione Tony Manero

Cile, 1978 : Dittatura, disco music, ossessione

Recensione Tony Manero
Articolo a cura di

Il ritratto, crudele ma sincero, di un uomo e del suo Paese

Diciamolo, chi non ha mai sognato nella propria vita di essere per un giorno come Tony Manero, almeno per quanto concerne le sue peripezie sulla pista da ballo? E' la domanda che si deve esser posto anche il regista cileno Pablo Larrain, già autore, nel 2006, di Fuga. Ecco così che vede la luce questo progetto molto particolare intitolato proprio come il mitico personaggio di Travolta ne La febbre del sabato sera e nel suo meno riuscito seguito Staying alive (che vedeva alla regia Sylvester Stallone). Il film, non senza polemiche, ha vinto l'ultimo Torino Film Festival 26. Produzione cileno-brasiliana, ha un taglio quasi documentaristico per ciò che concerne lo stile registico, con una sorta di grezzume visivo che ne delinea un'atmosfera volutamente degradata, sia moralmente che per quanto concerne il periodo storico narrato. Siamo infatti nel 1978, durante la dittatura di Pinochet, in una Santiago del Cile mai così allo sbando, dove gli uomini del regime si preparano senza pietà a sacrificare nuove vittime all'altare del potere. In questo mondo allo sfascio si muove Raúl, un cinquantenne dai modi spicci, che cerca di diventare come il suo idolo, il famoso Tony Manero, imitandone i movimenti, lo stile di vita, vestendosi come lui. Il grande sogno, punto d'inizio e fine, l'alpha e l'omega è il concorso televisivo nel quale ha luogo la sfida tra vari emuli del succitato personaggio. Nel frattempo, assistiamo all'esistenza che avvolge Raul, mentalmente disturbato sia dalla sua esasperata idolatria che dalla rivoluzione culturale che lo circonda. Conosciamo i suoi compagni di ballo, la sua donna con figlia adolescente a carico, un giovane attivista politico, la proprietaria del locale dove hanno luogo le lezioni. Si sta infatti preparando uno spettacolo, ispirato proprio alle movenze di Manero e basato sulla famosa performance al 2001 (il locale teatro delle gesta del Travolta/Manero) accompagnata dai Bee Gees. Ma la mente di Raul è soggetta a scatti d'ira, come quando, dopo aver salvato una signora da uno scippo, decide di massacrarla di botte, o ancora quando malmena il macchinista del cinema reo di aver sostituito La febbre del sabato sera con Grease. E' un ritratto acuto, perverso ma sincero, di un uomo senza più valori a cui, come unico appiglio, è rimasto il Mito, la ricerca di essere qualcun'altro e liberarsi per sempre dal suo cupo vivere. Come se la brama, la fame di un successo, per quanto illusorio ed effimero, lo divorassero nel profondo dell'anima e inibibendo ogni freno morale del protagonista.

Chi è Tony Manero?

Non siamo dinanzi a un film facile, caso mai l'esatto opposto. Tony Manero è una pellicola aspra, a tratti dura da digerire, con scene disturbanti nella loro crudezza, aumentata ancor più da uno stile registico assolutamente "vivo". L'entrare così spudoratamente nella normalità malsana e inquieta di questo strambo nucleo "familiare", rubandone quasi i più piccoli silenzi e singole espressioni, quasi da camera nascosta all'insaputa degli attori, è una scelta che alla fine si rivela dannatamente azzeccata. Il regista non si risparmia scene anche forti, con tanto di una fellatio in bella vista e ripetute e sanguinolesche violenze, per la maggior parte immotivate. Si intravede una leggera critica, per quanto più velata di quanto ci si potesse attendere, al colonialismo sociale e alla figura del Mito. Come nelle situazioni più degradate ci si attacchi facilmente a una figura di riferimento, nella quale cercare tutte le risposte che non si trovano altrove. Osservare Raul immedesimarsi fino allo sfinimento nel suo idolo è specchio di tutto il suo Paese, di come si cerchi di adattarsi a uno stile di vità americano, o comunque occidentale, senza averne ancora le capacità sociali ed economiche. Grande merito all'attore protagonista Alfredo Castro, alla seconda collaborazione col regista dopo Fuga, in grado di entrare magnificamente nel personaggio. La sua "imitazione" del ballerino italo-americano, evita il rischio di diventare parodistica grazie al grande impegno profuso, sia nelle scene di ballo che negli atteggiamenti, negli sguardi e nelle singole movenze. Non una copia, naturalmente impossibile, ma una reinterpretazione originale e adatta al contesto. La camera gli rimane sempre attaccata, non perdendolo praticamente mai di vista, con inquadrature ravvicinate quasi a voler entrare nella sua psiche e osservare tutto con i suoi occhi. Larrain ci offre uno spaccato nudo e senza abbellimenti di sorta, difficile da digerire ma di malsana bellezza per chiunque riesca a mandarlo giù.

Tony Manero Se già Badham con il suo La febbre del sabato sera ci offriva, per quanto alleggerito dalle scene di ballo, un ritratto drammatico di una gioventù senza valori, il Tony Manero di Larrain è il simbolo degradato di un paese alla deriva, sotto la morsa di una violenta dittatura. Sporco, volutamente realistico, lo stile registico immerge lo spettatore in una realtà viva e pulsante, che non fa sconti e colpisce duro. Un prodotto particolare, sicuramente non per tutti.

7

Che voto dai a: Tony Manero

Media Voto Utenti
Voti: 6
7.2
nd