Me Time Recensione: la commedia demenziale di Netflix funziona

Kevin Hart è il mattatore assoluto di un film artisticamente povero ma pregno di una comicità semplice e funzionale.

Me Time Recensione: la commedia demenziale di Netflix funziona
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L'epoca d'oro dello streaming coincide con il ritorno sulle scene di commedie leggere e destinate a tutti, spesso tarlate dalla mancanza di spessore in termini di sceneggiatura ma comunque capaci di generare qualche autentica risata con il loro fare scanzonato. Se al giorno d'oggi probabilmente non avremmo speso la cifra necessaria per staccare il biglietto e godere dello spettacolo al cinema, la visione senza pretese sul comodo divano di casa è l'ambiente perfetto per questo genere di prodotti, i quali brillano di umile simpatia nelle scarse aspettative di un pubblico che vuole semplicemente spegnere il cervello per un paio d'ore.

Nel novero di queste commedie rientra alla perfezione Me Time, film Netflix diretto da John Hamburg ed interpretato da uno scoppiettante Kevin Hart in collaborazione con Mark Wahlberg - non perdete gli altri film in uscita a settembre 2022 su Netflix - che rinsalda il legame sbocciato da poco tra la piattaforma ed il comico nato a Filadelfia dopo la serie con Wesley Snipes (trovate qui la recensione di True Story) con una pellicola simpatica e senza velleità artistiche, la quale sembra in grado di portare a termine il proprio compitino senza grossi patemi, inciampando però proprio su un finale eccessivamente ricamato.

Kevin Hart è un super-papà

Gestire due figli piccoli con il loro carico di responsabilità scolastiche, educazionali ed emotive potrebbe sembrare un compito arduo, ma non lo è affatto per Sonny Fisher (Kevin Hart), un vero e proprio fenomeno della genitorialità che si destreggia con abilità da giocoliere tra i mille bisogni dei bambini mettendo una toppa alle mancanze della moglie Maya (Regina Hall), tenuta spesso lontana dal nido familiare a causa degli obblighi derivanti dal suo splendido lavoro di architetto.

Questo super-papà ha scelto di abbandonare il suo impiego per dedicarsi completamente alla cura della casa, riempiendo le giornate con attività di volontariato e supporto alla scuola frequentata dai figli, ed è per questo che Maya decide di premiarlo con qualche giorno da dedicare soltanto a se stesso, nonostante le reticenze del marito: la donna parte dunque con i due figli verso la casa dei nonni, lasciando Sonny finalmente solo a godersi una pace che diventa ben presto noia in assenza della propria famiglia. Le giornate di libertà si rivelano essere l'occasione perfetta per prendere di nuovo parte alle folli feste di compleanno organizzate dal suo amico d'infanzia Huck (Mark Wahlberg), un adulto fatto e finito di 44 anni che ancora si comporta come un ragazzino sregolato.

Comicità leggera

La pellicola non si lascia rinchiudere nei confini di un semplice incipit, perché la varietà imbastita dalla sceneggiatura porta ad un susseguirsi continuo di eventi collegati tra loro in maniera a volte coerente, altre molto meno, che si distaccano ben presto dalla pazza festa di compleanno di Huck per andare ad esplorare situazioni diverse tra loro, unite in maniera formale soltanto da un approccio alla comicità leggero e pulito che si affianca alle esagerazioni di una commedia che non ha paura di addentrarsi nell'assurdo.

L'intera carica umoristica è affidata ai personaggi più che agli eventi descritti, concentrandosi sulla gestualità e sulle semplici battute di protagonisti abbastanza credibili anche se mai approfonditi a dovere. L'unica eccezione alla povertà introspettiva mette in luce, come è ovvio che sia, il Sonny di Kevin Hart, un uomo totalmente dedito alla propria famiglia che cerca quindi di ribaltare il classico stereotipo della casalinga donna consegnandosi con profondo amore alle necessità della moglie in carriera, mentre il film sceglie di non soffermarsi sulle implicazioni sociologiche della relazione ed utilizza il pretesto della "coppia ribaltata" soltanto per imbastire qualche giocosa linea di dialogo.

Le forzature nel finale

Le assurdità che capitano ai due protagonisti maschili, i quali si ritrovano spesso invischiati in alcune situazioni nonsense ancor più che paradossali, vengono raramente interrotte dal racconto della vacanza con i genitori di Maya, riuscendo a gestire con la dovuta attenzione il ritmo del racconto con fasi più ragionate e didascaliche da contrapporre alle follie di Hart e Wahlberg, lasciando germogliare la prevedibile morale della favola che verrà purtroppo spiattellata senza alcuna grazia negli ultimi minuti della pellicola.

L'umorismo senza fronzoli della storia funziona finché rimane incentrato sui perfetti tempi comici di Kevin Hart, il quale sfrutta il suo ruolo per spogliarsi dell'inutile machismo che lo contraddistingue in numerosi film e abbandonarsi con leggerezza ad un'autoironia che non può ignorare (soprattutto) la sua statura, riuscendo a strappare più di una risata con modalità scanzonate e prive di eccessive volgarità, ma inciampa clamorosamente in un finale che ricerca con troppa pedanteria un messaggio universale da poter urlare attraverso lo schermo.

Per arrivare al classico lieto fine con tanto di morale espressa da un monologo davanti al pubblico, infatti, la sceneggiatura attua delle forzature che appaiono particolarmente evidenti proprio a causa della semplicità che l'aveva contraddistinta fino a quel momento, inchiodando il ritmo di un racconto che - nel suo essere brioso e poco convoluto - riusciva ad intrattenere discretamente bene senza sforzarsi in maniera eccessiva.

Me Time La nuova commedia Netflix con Kevin Hart e Mark Wahlberg diverte senza innovare proprio grazie alle scarse pretese che dalla sottile sceneggiatura arrivano ad un pubblico che deve essere disposto a sospendere gli eccessivi criticismi per godere di una pellicola scanzonata e spesso simpatica. L'umorismo grossolano di Me Time funziona perché centrato sulle interpretazioni dei suoi protagonisti, soprattutto grazie ad un Kevin Hart in ottima forma che dà fondo al suo vasto repertorio di comico per portare sullo schermo un super-papà invidiabile per energia e concentrazione, ma si arresta bruscamente a causa di una parte conclusiva fin troppo ricamata, forzata in maniera aggressiva per rientrare nei canoni di un finale eccessivamente didascalico che spegne gli umili entusiasmi di una pellicola per larghi tratti dimenticabile.

6.5

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