Recensione Ti amerò sempre

Colpa, punizione e rimorso

Recensione Ti amerò sempre
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Un esordio toccante

Philippe Claudel esordisce al cinema dopo un fortunato passato (e presente) da scrittore e sceneggiatore. E si vede, si carpisce anche nel più profondo dei dialoghi, il suo stile letterario in questa sua opera prima, dal titolo italiano Ti amerò sempre. Da anni la Francia riesce a imprimere nelle sue pellicole drammatiche una malinconia e una finezza tipiche del cinema d'Oltralpe, dagli stili più ricercati di un Rohmer fino ai sussulti decadenti ma pregni di una sottile, e disincantata, ironia di un Leconte. Claudel si distacca però dai due autori sovracitati per uno stile che instaura un alone di forte sofferenza senza evitare mai di scadere nella trappola del patetismo più noioso. Ti amerò sempre oltre a questa scelta registica particolare vanta una prova straordinaria dell'interprete principale, una bravissima Kristin Scott Thomas (Il paziente inglese, L'altra donna del re) talentuosa attrice britannica non nuova a produzioni di stampo transalpino. Per il personaggio di Juliette ha ricevuto una nomination ai Golden Globes (e ingiustamente non candidata anche agli Oscar, cui avrebbe potuto seguire il successo di Marion Cotillard per La vie en rose)  destino accaduto anche alla pellicola per il miglior film straniero, entrambi tornati "a casa" a mani vuote. Merito di una sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, difficile e aspra che non ha paura di affrontare un tema duro come quello della colpa e delle conseguenze che essa porta in ambito familiare. La figura cui ruota attorno tutto il film, Juliette (Kristin Scott Thomas) esce dal carcere dopo aver scontato quindici anni per l'omicidio di suo figlio. L'unico legame parentale rimastole è quello con la sorella minore Léa (Elsa Zylberstein) , che nonostante l'efferato delitto, non l'ha mai dimenticata e smesso di amarla. La accoglie così in casa sua, dove vive col marito Luc (Serge Hazanavicius), il padre di questi, che ha perso l'uso della parola, e due figlie piccole adottate in Vietnam. Da subito per Juliette il ritorno a una vita normale si prospetta arduo, sia per la reticenza con la quale i nuovi conviventi e amici la trattano, che per la reale possibilità di reinserirsi nella società dopo l'infamia commessa. Si lascia così andare a rapporti effimeri e tende ad allontanare le uniche persone che provano per lei un affetto sincero, sua sorella inclusa. Ma l'amore è in grado di scardinare qualsiasi porta, e la donna ritroverà i valori più intensi della vita, mentre la verità sul reale accaduto di quindici anni prima sale lentamente a galla, cambiando ogni cosa.

Ritorno alla vita

Un ritratto umano e profondo sul senso di colpa e sulla ricerca delle redenzione, anche per gesta che poi si rivelano più misericordiose che spietate. E' da una storia semplice, quasi elementare, che Claudel ci conduce nel vortice del tormento e del dolore, qui incanalato nel tunnel del rimorso più violento che una madre possa provare. Uccidere una creatura partorita dal proprio grembo è un'immagine che rimane impressa a forza per tutta la vita, qualsiasi siano le ragioni che hanno portato     alla scelta. Lo si vede da ogni singola parola pronunciata dalla protagonista, dal suo rapportarsi con il mondo che la circonda, attraverso personaggi diseredati più o come lei, ognuno alla ricerca di un nuovo scopo della vita. Il non giudicare da parte del regista lascia il modo allo spettatore di farsi un'idea, e dona un pregio ancora maggiore all'interpretazone di Kristin Scott Thomas, a tratti maestosa nel mostrare una sofferenza che pare autentica, nell'osservare il suo viso scavato e i suoi occhi luccicanti al bagliore della luce. Sicuramente il valore aggiunto senza il quale, offerta la figura di Juliette a un'altra attrice, la pellicola avrebbe perso, e molto, il suo senso di esistere. Ma se la bravura della protagonista spicca su tutti, plausi vanno fatti al cast di contorno, che vede soprattutto nella Zylberstein (L'eletto) una "spalla" forte nella sua rabbiosa tenerezza. Non è da meno il comparto tecnico, e se come detto la regia "impersonale" ma non per questo passiva permea con il giusto sapore le atmosfere decadenti della storia, la colonna sonora è di indubbio interesse e con piccole "pennellate" musicali intrise di velata tristezza accompagna il percorso morale di Juliette. La fotografia che osserva la cittadina di Nancy con occhio lucido e attento e negli interni la normale vita familiare è lo specchio adatto per entrare nel dramma narrato. Un dramma che ha maturato nel passato, negli anni persi dietro le sbarre di una prigione, mai evitata ma se mai voluta, e che ha finito per ledere irremediabilmente tutti i rapporti umani. Ti amerò sempre ci accompagna per quasi due ore, difficili da digerire per la delicatezza della vicenda, ma non per questo pesanti o verbose, regalandoci una nuova voce nel raffinato cinema francese d'autore.

Ti amerò sempre L'omicidio di un figlio e quindici anni di carcere. L'incipit del film, fortemente drammatico, è tanto elementare quanto ricco di sfacettature nelle sue conseguenze future. Il riambientamento, l'accettazione della colpa e la lama conficcata del rimorso sono narrati con delicatezza e maestria, in maniera superba grazie anche alla sontuosa interpretazione della Scott Thomas. Raggiunge nel profondo ed è un merito non indifferente, forse incapace di raggiungere gli amanti dei blockbuster ma sicuro in grado di toccare le corde degli animi più sensibili e dediti a un cinema ricercato.

7.5

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