All Things to All Men, la recensione del film con Gabriel Byrne

Un poliziotto corrotto di Londra ricatta un potente trafficante locale dando il via ad una partita a scacchi che coinvolge numerosi individui.

All Things to All Men, la recensione del film con Gabriel Byrne
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Dopo averlo messo sotto sorveglianza, il team di poliziotti guidato dal corrotto Parker arresta il figlio del trafficante Joseph Corso. Il detective usa l'arresto contro il boss, forzandolo ad ingaggiare Riley, un ladro che ha intenzione di catturare e da poco entrato in possesso di un'ingente quantità di diamanti. Riley si trova costretto ad accettare, sotto minaccia, l'incarico assegnatogli, relativo ad un'effrazione all'interno di un grattacielo strettamente sorvegliato. Parker deve recuperare i codici dal sistema di sicurezza di Scotland Yard, e la missione si complica ora dopo ora.
In più il giovane Dixon, il sottoposto dell'agente, comincia sospettare del suo superiore e quando scopre il gioco di ricatti che lo vedono immischiato con la criminalità organizzata viene colto dai dubbi su quale sia la cosa giusta da fare. In All things to all men questa partita di intrighi e doppigiochi risulterà più complessa del previsto e nessuno degli individui coinvolti, da entrambe le parti della "legge" essi siano, potrà dirsi realmente al sicuro.

Una storia confusa

L'esordio dietro la macchina da presa del produttore George Isaac, che aveva finanziato l'interessante dittico, fra romanzo criminale e coming-of age, composto da Kidulthood (2006) e Adulthood (2008), è un thriller che guarda nelle intenzioni ad un mix tra i classici mafia-movie provenienti da Oltreceano e i tipici polizieschi di stampo british, non trovando però un proprio equilibrio e relativa personalità nel corso degli ottanta minuti che precedono i titoli di coda. All things to all men (conosciuto in Italia anche con il titolo The Deadly Game - Gioco pericoloso) mette troppa carne al fuoco dal punto di vista narrativo e non riesce ad approfondire nella brevità di visione i rispettivi sottotesti riguardanti i numerosi personaggi interessati, siano questi spietati boss criminali o altrettanto cinici poliziotti corrotti.
La componente investigativa è ridotta all'osso, con un paio di pedinamenti e appostamenti utili solo per la principale svolta di inizio visione, e l'assenza di potenziali colpevoli da incastrare è un limite pesante in un racconto dove tutto è già prestabilito e che non lascia allo spettatore lo spazio per la sorpresa, con colpi di scena prevedibili e una resa dei conti finale più che telefonata.

Uno svolgimento senz'anima

Anche l'anima action difetta di reali exploit, con una manciata di inseguimenti a piedi o su quattro ruote che si inseriscono sporadicamente all'interno della fitta trama, tra tragiche perdite e tradimenti non poi così inaspettati che conducono ad una chiosa in seguito alla quale niente è realmente cambiato, salvo il posizionamento delle pedine invischiate in questo beffardo schema criminale. Il regista si rivela ancora troppo acerbo per emergere con la corretta incisività e non è un caso che si affidi alla bellezza urbanistica di Londra, più volte ripresa negli splendidi panorami diurni o notturni, per rendere esteticamente più piacevole l'anonima messa in scena. La colonna sonora gratuitamente tensiva e dialoghi non sempre credibili ribadiscono l'ingenuità di un'operazione che ha anche il grosso demerito di aver sprecato il talentuoso cast a disposizione, con un poker di ottimi interpreti quali Gabriel Byrne, Rufus Sewell, Toby Stephens e Julian Sands, qui ingessati in figure dalle caratterizzazioni monodimensionali con le quali non si riesce mai ad entrare in comunione empatica.

All Things to All Men "Non è un paese per giusti" sarebbe stato l'ideale sottotitolo di questa produzione britannica nella quale esistono solo cattivi da entrambi i lati della barricata, con poliziotti corrotti, boss criminali e infallibili rapinatori che si sfidano in una complessa partita di tradimenti e inganni nel suggestivo sfondo londinese. All things to all men mette però troppa carne al fuoco nell'ora e mezza scarsa di visione e non caratterizza a dovere i numerosi personaggi coinvolti, sprecando anche il notevole cast che vedeva nei ruoli principali Gabriel Byrne e Rufus Sewell: non appena compresa l'antifona lo spettatore si disinteresserà facilmente delle dinamiche narrative e il prevedibile epilogo non fa che giustificare questa scelta, lasciando i rimpianti per quello che, con una maggiore cura in fase di sceneggiatura e relativa messa in scena (entrambe ad opera dell'esordiente George Isaac), avrebbe potuto rivelarsi un solido crime-drama di genere. Il film andrà in onda lunedì 3 giugno alle 21.10 su IRIS.

5

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