Recensione The Zero theorem - Tutto è vanità

Tornato al lungometraggio, Terry Gilliam tenta di offrire tramite The Zero theorem - Tutto è vanità uno sguardo sul mondo in cui pensa di vivere ora.

Recensione The Zero theorem - Tutto è vanità
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Quando realizzò a circa metà anni Ottanta l'assurdo Brazil, evidente omaggio su celluloide al celebre romanzo fantascientifico 1984 di George Orwell, il cineasta originario di Minneapolis Terry Gilliam intendeva dipingere l'immagine del mondo in cui pensava stesse vivendo all'epoca.
A circa tre decenni di distanza, tramite The Zero theorem - Tutto è vanità cerca, invece, di offrire uno sguardo sulla Terra in cui pensa di vivere ora, tirando in ballo, appunto, un mondo orwelliano e futuristico dove l'umanità è controllata dal potere delle corporazioni e da "uomini videocamera" che rispondono ad una losca figura nota solo con il nome di Management.
Un mondo in cui, eccentrico, solitario e afflitto da angoscia esistenziale, vive recluso all'interno di una ex cappella distrutta dalle fiamme il genio informatico Qohen Leth, incarnato dal mai disprezzabile Christopher Waltz e da tempo lavorante su un misterioso progetto chiamato Teorema Zero, mirato a portare alla scoperta dello scopo della vita, qualora ne esista uno.

Il ragazzo venuto dal Brazil


Genio informatico il cui isolamento e la sua dedizione all'operazione vengono spesso interrotti dalle visite della sensuale e vistosa Bainsley cui concede anima e corpo la Mélanie Thierry di Babylon A.D. e Perfect day.
Visite cui si aggiungono anche quelle dell'adolescente prodigio Bob alias Lucas Hedges, in possesso di un'invenzione che consente al protagonista di affrontare un viaggio all'interno delle dimensioni nascoste della sua anima, dove si celano le risposte che lui e Management stanno ricercando per provare o confutare il citato Teorema Zero.
Nel corso di oltre un'ora e quaranta di bizzarra visione a proposito di cui il regista osserva: "La sceneggiatura di Pat Rushin mi ha intrigato per le molte idee esistenziali racchiuse nel suo divertente, toccante racconto filosofico. Per esempio: Che cosa dà significato alla nostra vita, che cosa ci procura gioia? Si può essere soli nel nostro mondo sempre più connesso e ristretto? Questo mondo è sotto controllo o è semplicemente caotico? Abbiamo cercato di fare un film che fosse onesto, divertente, bello e sorprendente; un film semplice su un complicato uomo moderno in attesa di una chiamata per dare senso alla sua vita; un film sull'inevitabilità delle relazioni e sul desiderio d'amore; una storia piena di personaggi singolari e di sfavillanti situazioni che solleva interrogativi senza fornire risposte scontate. Speriamo sia diverso da qualsiasi film che abbiate visto di recente: niente zombi, niente crociati con il mantello, niente astronavi aliene. In realtà, forse ho mentito su quest'ultimo punto".
Una dichiarazione sicuramente utile per meglio comprendere le attuali intenzioni dell'ex Monty Python, il quale, sfruttando un budget più ristretto del solito e un cast comprendente, inoltre, Matt Damon e Tilda Swinton, immerge come di consueto il tutto in un tanto colorato quanto fantastico universo destinato a rappresentare, anche in questo caso, il maggiore punto di forza dell'insieme.
Perché, tra dialoghi riguardanti il paradosso, escursioni mentali e, addirittura, deliri erotici, il risultato finale non fatica ad apparire eccessivamente autocompiaciuto (ma non è una novità nella filmografia gilliamiana) nell'inscenare in maniera tutt'altro che classica e facilmente comprensibile il susseguirsi delle diverse situazioni... pur rivelandosi sufficientemente riuscito e lasciando in un certo senso intendere uno schieramento in favore delle reali emozioni contro quelle fasulle ed illusorie sempre più diffuse dal progresso tecnologico.

The Zero Theorem Nei panni del solitario protagonista, Christoph Waltz parla di se stesso al plurale ricordando il mostruoso Gmork de La storia infinita. Ma cosa intende essere The Zero theorem - Tutto è vanità, titolo che riporta Terry Gilliam alla regia di un lungometraggio dopo un paio di escursioni nell’ambito degli short? Un attacco alla tecnologia? Un campionario autocompiaciuto di nonsense? O, in maniera semplice, un delirio visivamente accattivante ma non troppo comprensibile dal punto di vista narrativo? Con ogni probabilità, tutte e tre le cose, come comunque avvenuto in più occasioni nel percorso artistico del cineasta, che non delude i propri fan... mentre agli altri non rimane da fare che stare al suo gioco.

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