Recensione The Son of No One

Channing Tatum, Al Pacino, Ray Liotta e Juliette Binoche sono i protagonisti del terzo film di Dito Montiel, The son of no one, thriller poliziesco dalle amare sfumature drammatiche.

Recensione The Son of No One
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Terza collaborazione tra il regista Dito Montiel e Channing Tatum dopo Guida per riconoscere i tuoi santi (2006) e Fighting (2009), The son of no one è il classico esempio di pellicola nella quale qualcosa è andato storto. Con un cast stellare che, oltre al succitato protagonista, poteva contare su nomi del calibro di Al Pacino, Ray Liotta, Juliette Binoche e Katie Holmes, il film è stato vittima di un responso freddino al Sundance Film Festival 2011 che ne ha segnato anche il futuro destino in sala, con una distribuzione limitata e un misero incasso worldwide di poco più di un milione di dollari. Cifra a cui non ha contribuito il nostro Paese, giacché il titolo non è stato avvistato né in sala né nel mercato home video, limitandosi a sporadici passaggi televisivi. Andiamo a scoprire le cause di tale, in parte giustificata, indifferenza.

Il passato non dimentica

2002: Jonathan White è una giovane recluta di polizia, felicemente sposato e con prole. L'agente è cresciuto in un quartiere povero di New York dove, sedici anni prima quando era ancora un bambino uccise per legittima difesa due poco di buono. Ai tempi delle indagini si occupò il detective Stanford, ex-partner di suo padre (morto in servizio), che pur sospettando il ragazzino decise di insabbiare il caso. Ora però qualcuno comincia a mandare delle inquietanti lettere al giornale locale pubblicato da Loren Bridges, una reporter che cerca di svelare la rete di corruzione nella polizia. Il contenuto delle missive sembra condurre sempre più a Jonathan che ora si trova costretto a compiere scelte difficili per proteggere la sua famiglia dal possibile scandalo, trovandosi al contempo a riaprire la vecchia ferita del suo passato.

God save the Queens

E' ancora il Queens a fare da sfondo ai racconti di Montiel che continua una sorta di percorso autobiografico nei luoghi dove è cresciuto. Nulla a che vedere in questo caso però con la vibrante intensità della sua opera prima, qui sbiadita ai fini di un racconto che se inizialmente mette in mostra discrete potenzialità ben presto si sfalda in una serie di non-sense e buchi narrativi che raggiungono l'apice in un epilogo che sfiora l'assurdo. The son of no one non ha la cattiveria giusta nel suo incedere traballante, sempre sospeso tra il thriller e il dramma introspettivo, che si barcamena in numerosi e mal montati flashback atti ad espletare la genesi della vicenda. Questi sbalzi temporali alla lunga annoiano e non caratterizzano degnamente la figura di Jonathan, personaggio complesso sulla carta ma non nei fatti: ed è un peccato perché la prova di Tatum possiede un certo impeto. Allo stesso modo è imperdonabile al solitamente bravo regista l'aver sprecato il lussuoso stuolo di comprimari, con Liotta e Pacino che utilizzano tutto il loro mestiere per dare un barlume di personalità a figure soltanto accennate in fase di caratterizzazione. Lo stesso tema della presunta corruzione tra le forze dell'ordine viene sfruttato con sin troppa prevedibilità, lasciando alla gestione del rapporto tra il protagonista e l'amico afroamericano d'infanzia la più bella pagina di un'opera priva del necessario equilibrio.

The Son of No One Dito Montiel al suo terzo film firma il suo primo flop, o meglio non pone il giusto sguardo alla vicenda raccontata. Una storia sul senso di colpa che affastella troppe tematiche (violenze sui minori, spaccio di droga, la povertà di certi quartieri, la corruzione nella polizia e il senso di fratellanza) in novanta minuti scarsi, senza riuscire mai a centrare il punto della questione. The son of no one si salva in parte dal tracollo grazie alle ottime prove di un cast all-star che, viste anche le convincenti opere (passate e future) dell'autore, avrebbe meritato una miglior caratterizzazione.

5

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