A Parigi un gruppo di adolescenti disinibiti si riunisce tutti i giorni, tra la Torre Eiffel e il Museo d'Arte Moderna, per bighellonare, tra acrobazie sullo skateboard e accordi di chitarra, fino ad appartarsi per potersi fare di droga (non necessariamente “leggera”) e scatenarsi in un sesso più distruttivo che liberatorio. Loro sono Math, Marie, JP, Pacman, Guillame, e vivono con disincantata leggerezza la loro vita e la loro eventuale morte. Pensano di aver poco da perdere e per molti di loro è vero: tanto che nelle loro file serpeggia lo spettro della prostituzione, per sfizio o per necessità. C'è chi si compra i vestiti all'ultimo modello e chi lo fa per sfamare i fratelli, ma tutti hanno un lezzo addosso che li accomuna ed è difficile da mandar via. Quale via d'uscita può mai esserci per delle vite segnate fin dall'adolescenza? In un mondo privo di figure adulte a cui far affidamento e pieno, piuttosto, di idioti mai cresciuti che pensano bastino i soldi per riempire i vuoti, a chi si rivolgeranno mai questi ragazzi?
Scandaloso Larry

Probabilmente non lo sa neanche lo stesso Larry Clark. Lo stesso che, da una vita, studia gli adolescenti problematici in giro per il mondo e li mette su pellicola. Fotografica o cinematografica che sia. E in modo assolutamente crudo, senza imporre giudizi dall'alto, anzi. “Volevo fare un film sulla gioventù francese sin da quando andai a Cannes per Kids nel 1995. Incontrai alcuni ragazzi e li invitai all'anteprima. Uscii con loro, li fotografai, imparai a conoscere la cultura adolescenziale francese, entrando anche nelle loro case per incontrare i genitori a cena. Capii allora che potevo fare un film in Francia sui giovani e su ciò che mi interessava” afferma il regista e fotografo americano, che pare essersi cristallizzato a quei tempi, a dirla tutta. Anche perché i suoi adolescenti parigini non sono poi così diversi dai loro coetanei americani degli altri film dell'artista, anche di quelli vecchi di dieci, quindici o vent'anni fa. Clark, dopo essersi concesso una leggera divagazione di stile nel precedente Marfa Girl (vincitore due anni fa del Festival di Roma) torna a parlare di giovani sbandati usando sempre gli stessi riferimenti: lo skateboard, le droghe, la camera a mano e, naturalmente, il sesso libero, pronto a tutto e privo di alcun tabù, pur di dimostrare qualcosa o raggiungere un obiettivo qualunque. Come, ad esempio, quello di annoiare a morte lo spettatore, soprattutto se già avvezzo alle precedenti opere del cineasta in questione.