Recensione The Sacrament

Il realmente accaduto massacro di Jonestown rivisitato dal noto Ti West attraverso la tecnica del mockumentary

Recensione The Sacrament
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Qualcuno - magari tra i lettori più attenti alle cinematografie meno sponsorizzate del globo - ricorderà, con ogni probabilità, Il massacro della Guyana (1979) che, diretto dal prolifico cineasta messicano René Cardona Jr, poneva Stuart Whitman nei panni di un reverendo americano che si trasferiva nella Guyana insieme alla sua folta schiera di seguaci con la promessa di fondare la città ideale di Johnsontown, per poi costringerli, invece, a pesanti lavori sotto il sole e dolorose punizioni in caso di disobbedienza.
Un lungometraggio intento a riportare fedelmente i tragici fatti accaduti nel Novembre del 1978 quando a Jonestown, comunità intenzionale nella Guyana nordoccidentale formata dal Tempio del Popolo, movimento religioso americano fondato dal pastore Jim Jones, novecentonove abitanti del progetto si tolsero la vita, ingerendo cianuro di propria spontanea volontà (almeno così sembra), nel corso di un suicidio di massa che non ha potuto fare a meno di sconvolgere il mondo.
Dopo gli attentati terroristici dell’11 Settembre 2001, la circostanza in cui il maggior numero di cittadini americani è morta al di fuori di un disastro naturale e della quale ha deciso di occuparsi anche Ti West, autore, tra l’altro, dello zombie movie The roost - La tana (2005) e di Cabin fever 2: Spring fever (2009), sequel di Cabin fever (2002) di Eli Roth, qui produttore.

Il massacro della Guyana POV

The Sacrament, infatti, segue le vicende di due corrispondenti di VICE Media che, in partenza per documentare il viaggio di un loro amico intenzionato a ritrovare la sorella scomparsa, escono dagli Stati Uniti insieme a lui per raggiungere una località segreta dove sono accolti nel mondo di “Eden Parish”, un’utopia rurale che conta quasi duecento membri e vive di mezzi propri.
A differenza della citata pellicola di Cardona Jr, però, il lungometraggio di West non presenta i connotati di film dalla classica narrazione cinematografica, bensì quelli del falso documentario alla The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair (1999).
Non a caso, proprio come nell’osannatissimo found footage movie diretto a quattro mani da Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, non sono assenti né finte interviste alla gente del posto, né il videomessaggio con richiesta d’aiuto; man mano che scopriamo che al centro della piccola comunità religiosa e socialista vi è un misterioso capo noto soltanto come il “Padre” e che i nuovi arrivati comprendono che quello che potrebbe essere un paradiso, forse, non è ciò che sembra.
Anche se, considerando il contributo del succitato Roth, viene da pensare che l’insieme sia maggiormente accostabile a L’ultimo esorcismo (2010) di Daniel Stamm, di cui fu produttore; mentre le riprese eseguite a mano, ovviamente, regnano e abbiamo, inoltre, l’immancabile soggettiva della camera che cade in terra, come nel Cannibal holocaust (1980) di Ruggero Deodato.
Al servizio di una vera e propria corsa intrapresa dai protagonisti per salvare le loro vite durante quello che, con immagini crude poste in particolar modo nella sua ultima parte, ancor prima delle fattezze di un film dell’orrore sembra manifestare quelle di un film su veri orrori.
Impreziosito da una non disprezzabile regia che, pur senza eccellere, gli consente di non rientrare affatto tra i peggiori esempi del genere.

The Sacrament Il realmente accaduto massacro di Jonestown rivisitato da Ti”The roost - La tana”West attraverso la tecnica del POV. Ben diretto e coinvolgente nella giusta maniera, un elaborato che non rientra tra i meno riusciti esempi del genere e per meglio capire il quale riportiamo le parole del regista: “La mia intenzione era di analizzare gli ultimi giorni di vita di un culto religioso creando un film di genere che fosse di un tenore elevato. E’ raro trovare film di questo tipo che vadano oltre il brivido dozzinale regolato sul denominatore comune più basso. Per me era importante ritrarre questi personaggi non come insensati e psicotici adepti di un culto, bensì come persone reali con cui è possibile relazionarsi, ma che, per varie ragioni, hanno scelto di affrontare la vita seguendo un percorso alternativo e controverso. Spero di aver creato un film che susciti paura e che, nel contempo, abbia un valore sociale, un film che stimoli il pubblico a riflettere profondamente sul contenuto”.

6

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