The Rope Curse 2, la recensione dell'horror Netflix

Liao Shih-Han, già autore del primo episodio, dirige un sequel imperfetto, in cui un sano terrore di genere cozza con una poco oculata gestione narrativa.

The Rope Curse 2, la recensione dell'horror Netflix
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Huo-ge è un prete taoista che dopo aver assistito al sacrificio del suo maestro, perito dopo la lotta contro un crudele demone, non si è mai del tutto ripreso, nonostante il defunto in punto di morte abbia affidato a lui il ruolo di suo erede.
Jia-min è una ragazza adolescente, orfana di genitori e dotata di poteri sensitivi, che vive con la zia, sposata a un uomo violento che quando fa ritorno a casa le picchia selvaggiamente.
La giovane partecipa a una trasmissione in diretta streaming insieme a due coetanei, intenzionati a racimolare qualche soldo con le visualizzazioni su YouTube di un video a sfondo spiritico, e proprio in quest'occasione si imbatte in Huo-ge. I due si ritrovano dopo poco quando lo zio di Jia-min perde la vita a causa di un'antica maledizione e a farne le spese è la zia, ora posseduta da un'entità apparentemente inarrestabile.

Di maledizione in maledizione

Seguito di un film mai distribuito in Italia, The Rope Curse 2 riprende il tema di un'antica maledizione che, secondo le credenze folkloristiche di Taiwan, si materializzerebbe dopo che una persona si è tolta la vita tramite impiccagione.
Una delle tante ghost-story consolidate nella cultura asiatica che fa qui da base narrativa portante di un horror di media fattura, incapace di distinguersi tra le tante produzioni a tema che giungono ogni anno dal profondo est.
Se infatti quest'archetipica urban legend possiede degli spunti affascinanti, ideali per costruire un percorso tensivo degno di nota, la sceneggiatura e la relativa messa in scena non seguono le premesse iniziali e soprattutto nella prima metà generano una certa confusione nella gestione di situazioni e personaggi, trovando poi un maggior equilibrio nella seconda parte.

Un Male senza fine

Giunto in esclusiva nel catalogo di Netflix come original, The Rope Curse 2 vede il ritorno dietro la macchina da presa di Liao Shih-Han - già regista del primo episodio - e può contare su un cast affiatato guidato da Lee Kang-sheng, volto noto al pubblico asianofilo per essere l'attore feticcio del cineasta di culto Tsai Ming-liang.
Nonostante le interpretazioni più che convincenti, il film rischia in almeno un paio di occasioni di scadere nel ridicolo involontario, con sviluppi non sempre plausibili se non del tutto forzati.
A salvare in parte l'operazione ci pensa una regia più che discreta, capace di sfruttare al meglio le ambientazioni, e il ricorso a consolidati cliché di genere, tra riflessi che nascondono inquietanti presenze e i classici poltergeist, fino a una resa dei conti finale che mette in scena l'eterna lotta tra il Bene e il Male.

Con la sequenza al termine dei titoli di coda che apre a un ulteriore prosieguo, dato anche dall'effettivo passaggio di consegne visto poco prima, i cento minuti si chiudono seguendo idealmente il leit-motiv stilistico che regge l'intera visione, sospesa tra momenti più riusciti e una parziale incertezza che le impedisce di pensare, e conseguentemente di agire, in grande.

The Rope Curse 2 The Rope Curse 2 ha il classico sapore di occasione mancata, incapace di mantenere una solida omogeneità dai titoli di testa fino a quelli di coda. Una sbilanciata gestione narrativa impedisce alla storia e ai personaggi di risultare effettivamente coinvolgenti e finisce per penalizzare anche i sani momenti horror, che nonostante qualche passaggio maldestro non mancano nel corso dei cento minuti di visione. Sequel di un film anch'esso ispirato dalla cosiddetta maledizione della corda, consolidata nelle superstizioni taiwanesi, l'operazione viaggia così a corrente alternata e neanche il solido cast capitanato da un attore di razza come Lee Kang-sheng risulta sempre credibile alle prese con i tormentati eventi che coinvolgono i malcapitati protagonisti.

5.5

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