Recensione The Reader

Un viaggio nella complessa coscienza di una nazista

Recensione The Reader
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L'ambigua relazione di una donna e di un ragazzo tra sesso, nazismo e processi

La storia si svolge nella Germania dell'immediato secondo dopo-guerra, allorchè il giovine Michael Berg (David Kross, poi Ralph Finnies da adulto), ammalato, trova cure ed attenzioni in casa di Hanna Schmitz (Kate Winslet). Una volta rinsavito, l'adolescente ritrova la donna per ringraziarla, nasce così una relazione sconveniente ed appassionata quando Hanna inizia al sesso l'inesperto ragazzo in cambio di liete ore di lettura romanzesca, lusso che lei analfabeta, non può permettersi. Ma senza avvisi Hanna scompare lasciando il ragazzo confuso e sconfortato. Otto anni dopo Michael, ora studente di legge, ritroverà quella che un tempo fu la sua amante segreta coinvolta in uno dei tantissimi processi per i crimini contro l'umanità, perpetrati dai "burocrati del male", fra i quali, per l'appunto, figura anche Hanna in quanto ex-kapò di un campo di concentramento, rea della morte di trecento ebrei deportati, svelando così l'ignominioso passato di quella figura così misteriosa per lui.

Holocaust chich?

Nemmeno a dirlo il film ha sollevato la consueta canea di proteste, scandali, accuse di revisionismo...come se fosse sempre il cinema l'entità deputata a dover dirimere delicatissime questioni ed a stabilire le verità storiche. S'inizi col dire che il lavoro è mutuato da un noto romanzo pedagogico di Bernhard Schlink ("A voce alta" in italiano, edito Garzanti) che ha negli intendimenti primi quello di ragionare sulla coscienza personale e sull'identità collettiva del popolo tedesco. La discrasia, inevitabile, che si ha col film e quindi fonte di strepiti ed accuse, è quella di aver trasformato la protagonista Hanna, in una vamp medio-borghese, seducente, accattivante...tale da banalizzare col sesso la vexata quaestio della Shoa, degenerando in un film "holocaust chich" (così epitetato con gusto maldestro dal critico statunitense Charlie Finch).In verità, di là dalle critiche ormai pretestuose che si hanno ogni qual volta si tocchi il "Terzo Reich" senza per forza, ormai retoricamente, scendere nella denuncia totale dei crimini nazisti, è che il film cambia la specola che si immagina sia per un lavoro di questa parte. Non quindi il nazismo visto dagli occhi delle vittime, ma da una delle tante tedesche corree, da una delle tante impiegate nel concentramento prima e nello sterminio poi. Una prospettiva del tutto legittima per un film e per una ricostruzione et letterale et storica che intenda superare i vetusti pregiudizi, per ragionare serenamente (per quanto possibile data la calorosità dell'argomento) sulla storia, per tentare di comprendere meglio riflettendo, senza giudicare nè giustificare giacchè il lavoro non racchiude in sè le risposte, abbandonando la mozione degli affetti spielbergiana, per invece impegnarsi in una riflessione che trova nella scena del confronto fra il professore (il sempre impeccabile Bruno Ganz) e gli allievi, lo svincolo emotivo-sociale di un popolo tutto. La difficoltà di accettare ciò che è stato per le generazioni appena seguenti, di capire come sia stato possibile per i loro padri compiere...di vivere quindi con una coscienza che deve fare i conti con colpe e vergogne passate e troppo pesanti per essere semplicemente superate. E' la "seconda generazione" che si ferma, si analizza. Colpa e vergogna, come riconosciuto da (quasi) tutti, sono i veri temi focali dell'opera, che ben surclassano polemiche ed antichi contenziosi. Rimane il clima di ambiguità che indispettisce la comprensione, dovuta a nostro avviso, non tanto da chissà quali strategici quanto inconfessabili messaggi subliminali revisionisti, ma da un lavoro che, oltre le polemiche e le straordinarie interpretazioni degli attori ove il climax è il giusto Oscar a Kate Winslet, non va oltre la scorrevolezza delle immagini. Rimane quindi un melodramma d'amore e di guerra, la pretenziosità di un lavoro che scorre tra scene banali, diviso didascalicamente in due parti da una sceneggiatura piatta, accompagnata da un uso pleonastico e retorico della musica, quasi fastidioso. Per dominare una simile pretensione bisogna scavare nelle pieghe dei personaggi, nei "moti dell'anima", saper riscostuire in modo coinvolgente ed esatto il passato con un uso sapiente di scenografia e fotografia...ma il tutto invece poggia sulle "sole" spalle degli attori che, sobbarcatosi tutto il peso, fanno quanto di meglio è loro concesso, sino addirittura andarsi a prendere premi e premi.

Meno male che c'è la Winslet...

Altra lettura è vedere come il regista Stephen Daldry abbia tentato di trovare una sintesi del suo cinema, barcamenandosi tra i suoi Billy Elliot e The Hours, proprio tenendo fede a quella biforcazione del lavoro che sembra richiamare l'uno poi l'altro precedente lavoro. Nella prima parte quindi il tentativo di creare una sorta di fusione tra voce e corpo, tra letteratura e sesso; poi le colpe collettive di un popolo talmente pervasive da adulterare gli attuali rapporti umani, dove, è bene ribadirlo, vince la prestazione psicologica e sfumata della Winslet, capace di recitare da sensuale amante, da appassionata letterata impotente e da matura donna "malefica" quando riapparirà invecchiata nella seconda porzione di film con il Michael adulto, recitato dal brillante Finnies. Il volto di Hanna è spigoloso, acre, inafferrabile, eppure fragile tale da indurre un senso di ancipite pietà. Affrontando i crimini nazisti dalla prospettiva della quotidianietà, serviva un lavoro attoriale davvero importante onde evitare di scadere nella facile e simil-espressionista rappresentazione degli orchi cattivi, la Winslet riesce a cogliere le brutture, le sfumature, i dubbi, i pentimenti, la confusione, indurre pietà per una figura così problematica, adoprandosi verso una sorta di riconciliazione, sussurrata dal regista. E' un'opera malcerta di anima e coscienze distrutte dalla contigenza storica, non vi sono possibilità di redenzione, l'apertura del film lascia affrontare nella dimensione della propria coscienza non solo quanto vissuto e  come lo si è vissuto, ma soprattutto come s'intende viverlo quando tutto è finito.

The Reader Un film che, nato sotto la fumosa stella delle polemiche e dei problemi, finisce con una serie di nominations agli Oscar concretatesi in quello come miglior attrice protagonista di Kate Winslet, sicuramente la cosa migliore dell'opera. Tutta la bontà del film, in effetti, si staglia sulle grosse spalle del cast che riesce a dar forma ad un delicatissimo contenuto, quale è la coscienza collettiva del popolo tedesco all'indomani dei noti orrori bellici. La forma, che sopperisce ad un contenuto affrontato mediocremente, la danno le sfumature psicologiche degli attori che vincono la loro sfida (..e i loro premi).

6

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