Recensione The Reach - Caccia all'uomo

Il vincitore del premio Oscar Michael Douglas produce ed interpreta un thriller ad alta tensione in cui fa da psicopatico carnefice al povero Jeremy Irvine tra le solitarie, roventi lande del Nevada.

Recensione The Reach - Caccia all'uomo
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Arrogante e carismatico individuo che si è fatto da solo, John Madec, come dichiarato dallo stesso Michael Douglas che lo incarna, è una sorta di Gordon Gekko in versione West Coast.
Venticinquenne idealista e innamorato della natura, invece, Ben, è un giovane conoscitore del Nevada come nessun altro e, per questo, accompagna i turisti attraverso quelle tanto solitarie quanto pericolose lande.
Quindi, con le fattezze del Jeremy Irvine de Le due vie del destino (2013), non può essere altro che lui a venire assoldato per lo stesso compito dall'uomo d'affari dal volto del premio Oscar di cui sopra, il quale figura anche in qualità di produttore di The reach - Caccia all'uomo (2014), diretto da Jean-Baptiste Léonetti partendo dal romanzo Deathwatch di Robb White, sceneggiatore, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, per l'"Hitchcock dei poveri" William Caslte (autore de La casa dei fantasmi e I 13 fantasmi).
Un thriller caratterizzato da un evidente look da moderno western che, una volta superati i primi venti minuti dedicati alla presentazione dei personaggi, non esita a scaraventarli in un vero e proprio gioco al massacro che vede Ben trasformarsi in vittima di John, in quanto unico testimone di un omicidio che quest'ultimo ha involontariamente compiuto.


Duel al sole

Un gioco al massacro che qualcuno ha associato allo spielberghiano Duel (1971), ma che, in realtà, può richiamare alla memoria, per alcuni aspetti, sia The hitcher - La lunga strada della paura (1986) di Robert Harmon che un certo cinema di Sam Peckinpah.
Perché, pur essendo presente un vago retrogusto da moderno torture porn dovuto alla notevole sensazione di sofferenza trasmessa dall'immagine del ragazzo costretto a fuggire quasi nudo, in cerca d'acqua, sotto al sole rovente che gli ustiona la pelle, non è una crudezza tipica della celluloide di genere risalente agli anni Settanta a mancare in quella che, in fin dei conti, altro non è che una variante del plot alla base del super classico La pericolosa partita (1932) di Irving Pichel ed Ernest Beaumont Schoedsack.
Variante valorizzata da una affascinante, polverosa ambientazione immersa in un silenzio che, disturbato soltanto occasionalmente dal verso emesso da qualche volatile, fa da giusto involucro al tesissimo e movimentato evolversi, non privo neppure di determinati rimandi a Un tranquillo week-end di paura (1972) di John Boorman; dal quale, non a caso, recupera il Ronny Cox qui calato nella divisa di sceriffo.
E, tra stretti e claustrofobici cunicoli scavati nelle rocce e situazioni atte a coinvolgere la dinamite come in Supervixens (1975) di Russ Meyer, dal contesto scenografico analogo, la circa ora e mezza di visione risulta decisamente curata e coinvolgente... pur dovendo fare i conti con una conclusione di sicuro funzionale alla storia, ma messa in scena con qualche piccola lungaggine di troppo.

The Reach - Caccia all'uomo Partendo dal romanzo Deathwatch di Robb White, Stephen Susco - sceneggiatore di The grudge (2004) e The grudge 2 (2006) si occupa dello script di The reach - Caccia all’uomo (2014), diretto dal Jean-Baptiste Léonetti che ha alle spalle soltanto Carré blanc (2011) e un paio di cortometraggi. Un thriller tesissimo, sofferto e coinvolgente che, richiamando alla memoria non pochi esempi della Settima arte di genere degli ultimi quarant’anni (e oltre), rielabora, in un certo senso, la vicenda biblica di Davide e Golia rendendo Jeremy Irvine la preda umana cui dà la caccia, armato di fucile, uno psicopatico Michael Douglas che avrebbe fatto da azzeccata spalla al Mick Taylor di Wolf creek (2005). Quindi, non si chiude occhio fino all'epilogo, che, comunque non del tutto convincente a causa di un certo sapore grottesc-anni Ottanta, spinge a togliere quel mezzo voto in più che la pellicola avrebbe meritato.

6

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