Recensione The Other Side of the Door

Una madre consumata dal rimorso per aver dovuto scegliere chi salvare tra i suoi due figli è al centro di The other side of the door, horror senza infamia e senza lode ambientato in India.

Recensione The Other Side of the Door
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Maria vive da tempo in India con il marito Michael e i suoi due figli piccoli Oliver e Lucy. La felicità della famigliola viene però scossa da un incidente stradale durante il quale la madre si ritrova costretta a scegliere chi salvare tra i due bambini: la fortunata è Lucy, ma da quel momento in poi Maria vive in un continuo rimorso. Sei anni dopo la tragedia la donna tenta il suicidio, venendo salvata in extremis dal compagno. La governante Piki, conoscitrice di rituali spiritici del luogo, consiglia allora alla padrona di casa un metodo per porgere l'estremo saluto al figlio scomparso che consiste nella visita ad un antico tempio dove il confine tra la vita e la morte diventa molto sottile. Dopo aver portato le ceneri del piccolo al luogo preposto Maria riesce a comunicare con Oliver, dando però inconsapevolmente il via ad un incubo di stampo sovrannaturale che mette a rischio la vita dei suoi cari.

Dark places

Co-produzione tra India e Regno Unito, che vede tra i maggiori finanziatori l'apprezzato regista francese Alexandre Aja, The other side of the door è un horror dal sapore abbastanza classico nel quale le buone idee di partenza, seppur non originali, vengono penalizzate da alcune forzature stilistiche sin troppo invadenti. Settima prova per il grande schermo dell'inglese Johannes Roberts, autore nella sua carriera di inguardabili z-movie, il film sfrutta troppo un'eccessiva oscurità ambientale, non sempre giustificata, per infondere massicce dose di suspense tensiva atte a dar vita ad improvvise apparizioni e facili spaventi. Ed è proprio in questa semplicità elementare, riciclo di stereotipi e topoi osservabili nel 90 % delle pellicole di genere, che risiede il peggior difetto di una visione altrimenti piacevole, in grado di rendere giustizia al folklore e alla tradizione indiana. Spiriti dall'aspetto deforme e inquietante fanno più volte capolino nell'esiguo minutaggio, con movenze a metà strada tra gli exorcism movie ed i j-horror, riuscendo ad inquietare quanto basta e facendo dimenticare momentaneamente l'esile plot di partenza che vede, come nella spesso abusata tradizione del filone, l'anima dannata di un bambino tornare dall'aldilà per tormentare l'incolpevole madre. Dalle porte che si aprono da sole, come già ben esplicato dal titolo, ai tasti del piano premuti da entità invisibili, la sceneggiatura (scritta a quattro mani dal cineasta con Ernest Riera) vive in questo aspro contrasto tra cliché e spunti più originali senza trovare una propria netta personalità.

The Other Side of the Door Pur non privo di soluzioni originali derivate dal misticismo indiano, The other side of the door si rivela alla fine della fiera un horrorino come tanti altri la cui visione è consigliata soltanto agli onnivori del genere. Johannes Roberts, che comunque dirige il suo miglior film dopo una carriera di produzioni agghiaccianti, abusa di stereotipi e situazioni viste e riviste riuscendo però a instillare a tratti una certa atmosfera tensiva, grazie anche alla convincente prova della protagonista Sarah Wayne Callies, più che credibile nei panni di una madre consumata dai rimorsi.

5.5

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