Samuel è un bambino paraplegico, costretto sulla sedia a rotelle fin dalla tenerà età in seguito a un tragico incidente automobilistico, avvenuto per cause misteriose. Il piccolo ha sempre vissuto con la madre Elena nella villa di famiglia, una remota magione circondata dai boschi.
La donna fa parte di una setta che ha deciso di eliminare drasticamente ogni contatto con il mondo esterno e cresce il proprio figlio nel più totale isolamento, al sicuro da potenziali pericoli provenienti da fuori.
Samuel comincia a manifestare una certa insofferenza per la situazione e l'arrivo in casa di Denise, una ragazzina di pochi anni più grande di lui, aumenta ulteriormente la sua voglia di scappare da quella gabbia in cui è stato allevato. La nuova giunta, accolta per esaudire l'ultima volontà di un vecchio amico di Elena, rischia di creare scompiglio e inizia a rappresentare una minaccia per le leggi che da tempo dominano quella tetra dimora.
Fuori dal mondo
Non si vedono tutti i giorni esordi su grande schermo di tale calibro, soprattutto nello spesso asfittico cinema di genere nostrano. E quello del barese Roberto De Feo è già un instant cult, un titolo che si pone anche nel mercato internazionale con personalità, pur rifacendosi nelle dinamiche base a diversi leit-motiv del filone.
Il merito del regista è però quello di utilizzare tali cliché per dar vita a una creatura ibrida e ricca di sfumature, capace di riplasmare i dettami dell'horror gotico in una chiave da atipico coming-of-age.
Se la base narrativa portante finisce per ricollegarsi a quelle teorie di un microcosmo chiuso al resto del mondo, sulla scia del memorabile The Village (2004) di M. Night Shyamalan, e l'amicizia tra i due giovanissimi interpreti riporta alla mente un altro cult quale Lasciami entrare (2008), il modo in cui la storia si adombra di elementi nuovi e originali riesce sempre a mantenere un invidiabile livello di attenzione.
Cento minuti durante i quali lo spettatore crede di aver intuito tutto salvo poi essere spiazzato con grande bravura, con certe scelte dei personaggi più comprensibili, pur se divisi tra diverse tonalità di ombre e luci.
Questione di aspettative
La messa in scena trova una primigenia forza già nel prologo, con il cimitero privato in bella mostra e la nebbia che circonda la magione teatro degli eventi in una notte fosca. E qui le atmosfere da ghost-story sembrerebbero pronte a essere innescate, con tanto di macabro passaggio onirico che a un certo punto potrebbe suggerire una tale deriva.
The Nest - Il nido tradisce invece furbescamente le aspettative, concentrandosi sulla costruzione di un'atmosfera torbida e annichilente, di opprimente impotenza, dove la verità si nasconde dietro una violenza apparentemente smisurata - più dal punto di vista psicologico - e il rapporto tra le figure chiave si rivela essere il cuore portante di tutto l'insieme.

L'antitetico legame sonoro tra la musica classica - da Rossini a Beethoven - e l'alternative rock dei Pixies, rimarcato in più occasioni nell'esposizione del crescente rapporto tra Samuel e Denise, è lo specchio del progressivo disgregarsi del mondo adulto, subdolo e crudele per vie e motivi inizialmente indecifrabili.
Uno stridio incessante tra generazioni che diventa ideale e lugubre accompagnamento di un percorso di formazione, schiavo di una fitta rete di segreti e bugie e prossimo a crollare sotto il peso della propria vacuità.