Recensione The Mole Song

Ecco un nuovo manga-movie per Takashi Miike, presentato in anteprima al Festival di Roma

Recensione The Mole Song
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Con novanta regie all'attivo all'interno di un curriculum dietro la macchina da presa iniziato nel 1991, il giapponese classe 1960 Takashi Miike torna al Festival internazionale del Film di Roma un anno dopo quel Lessons of evil che, conosciuto anche con il titolo Il canone del male, prendeva le mosse nel 2012 da un romanzo di Yûsuke Kishi per inscenare su schermo la violentissima mattanza attuata da un insegnante modello benvoluto dagli studenti e rispettato dai colleghi al fine di risolvere i problemi della scuola in cui esercitava la sua professione.
Stavolta, invece, è un manga di Noboru Takahashi a fare da fonte d'ispirazione per raccontare la vicenda di Reiji Kikukawa, ovvero Tôma Ikuta, il quale, diplomatosi con il punteggio più basso di tutti i tempi, viene un giorno convocato dal capo della polizia, che lo licenzia per condotta disonorevole.
Ma le cose non stanno come potrebbe sembrare, perché, in realtà, l'uomo gli affida l'incarico di infiltrarsi in un'organizzazione criminale per arrestare un potente boss della Sukiya-kai, il clan yakuza più potente della zona del Kanto, riuscendo a diventare il pupillo di Masaya Hiura alias Shin'ichi Tsutsumi, capo della banda Akogi.

L'ingrediente "mangante"

Perché quest'ultima è proprio l'alleata della Sukiya-kai, al cui interno le lotte di potere ed i conflitti con gli acerrimi rivali di Hachinosu-kai, che mirano al controllo del Giappone, finiscono per trascinare Reiji in una serie di situazioni surreali al limite della follia.
Del resto, fin dai primissimi minuti di visione, con il protagonista - che scopriamo anche essere vergine - nudo e legato sul cofano di un'automobile in corsa, ad apparire decisamente folle è proprio l'operazione, addirittura tempestata di personaggi ritagliati nella carta con la probabile intenzione, appunto, di richiamare alla memoria l'altrettanto folle universo dei disegni dagli occhi a mandorla.
E Miike, come già era avvenuto nel suo Yattaman - Il film, del 2009, sembra riuscire nell'impresa, ma, sempre come in quel caso, soltanto per quanto riguarda l'impeccabile e curatissimo lato estetico.
In quanto, mentre viene ribadito sia che un vero uomo non mostra mai le spalle al nemico, sia che l'amore è più forte delle pallottole, si sguazza in maniera esilarante in mezzo a disgustosi bibitoni, una divertente scena di sesso, il rito della coppa di sake ed una assurda sequenza che arriva a tirare in ballo le farfrattaglie (!!!)... ma solo nel corso della parte più riuscita di oltre due ore e dieci di pellicola (un po' troppe) che, non prive di splatter, s'infiacchiscono non poco strada facendo, pur manifestando una certa inutile ripresa durante la loro fase conclusiva.

The Mole Song “È un onore avere l’opportunità di portare il mio film al Festival di Roma per il secondo anno consecutivo. Ho fatto del mio meglio, quanto a ‘urla e budella’, per regalare al pubblico di Roma stimoli e divertimento. È un film per chi cerca eccitazione, risate e dolore, pieno di elementi cinematografici come amore, separazione, tradimento, amicizia, ironia. E un pochino di budella, giusto un pochino. Prodi romani, divertitevi con tutto il cuore” è la dichiarazione del cineasta giapponese Takashi Miike in occasione della presentazione del suo Mogura no uta - sennyû sôsakan: Reiji (come s’intitola in patria il film) presso l’ottava edizione del Festival internazionale del Film di Roma. Una storia di malavita dagli occhi a mandorla che, derivata da un manga, riprende efficacemente la folle estetica dei disegni nipponici, divertendo in più punti ma risultando non poco penalizzata sia dalla sua eccessiva durata che, soprattutto, dalla tendenza ad infiacchirsi nel corso della seconda parte.

5.5

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