Recensione The Last Song

Non si ride e non si piange in The Last Song, ennesima trasposizione filmica di un tragi-romanzo di Nicholas Sparks

Recensione The Last Song
Articolo a cura di

Il titolo in cui campeggia il termine ultima è un significativo campanello d'allarme che rimanda senza sforzo allo scrittore Nicholas Sparks e che riecheggia nella mente già dai titoli di testa e, sin da allora, ci si prepara psicologicamente alla tragedia, inesorabile, che minaccia di abbattersi sul film. Ma il cocktail è uno di quelli mesciuto per far risuonare le casse del botteghino (e far deprecare i critici da ogni parte del mondo): gli ingredienti sono il volto della divissima Miley Cyrus, assurta al ruolo di star grazie al successo internazionale ottenuto nei panni di Hannah Montana, l'archetipo drammatico dello scrittore Nicholas Sparks (Le parole che non ti ho detto, Le pagine della nostra vita, Come un uragano, etc.), che firma per l'adattamento del suo sedicesimo libro anche la prima sceneggiatura, e il marchio produttivo della beneamata Disney. Basta agitare con cura e il drink è servito: un romantico melo-polpettone che richiamerà in sala frotte di teenager pronti a versare litri di lacrime per la loro beniamina Cyrus (qui al suo primo ruolo ‘drammatico' in tutti i sensi), e squadroni di melò-dipendenti bramosi di scoprire l'ultima tragedia nata dal genio funesto del nostro. E quest'ultimo lavoro sembra non voler tralasciare nulla di nulla (una pletora di tematiche che spaziano dalle intemperie adolescenziali alle crisi coniugali, passando per le sognanti e turbolente liaison giovanili e gli improvvisi quanto classici colpi di testa della vita), se non una certa aderenza al mondo reale. Ma andiamo con ordine...

In nome della musica

Veronica, detta Ronnie, Miller (per l'appunto Miley Cyrus), viene spedita assieme al fratello minore Jonah, a trascorrere l'estate col padre, che ha lasciato il nido anni prima per dedicarsi alla musica e che ora vive in una ‘ridente' cittadina balneare nel sud della Georgia, Stati Uniti. Mentre il piccolo Jonah (che a dispetto della sua giovane età pare sciorinare maturità e coscienza di un quarantenne) sembra entusiasta di trascorrere un po' di tempo col padre ‘perduto', la diciassettenne e permalosa Ronnie nutre nei confronti del genitore una indomita rabbia, che gli palesa senza mezze misure: negandogli un amichevole scambio di battute, la sua presenza a casa e finanche la possibilità che qualcosa ancora animi il loro flebile legame: motivo per cui ha messo al bando anche il talento musicale ereditato dal padre, smettendo di suonare il piano e rifiutandosi di entrare alla Juliard, che pare averla ammessa nonostante una carriera scolastica non propriamente luminosa. Ma galeotta sarà la trasferta estiva che metterà sulla strada (anzi sulla spiaggia) di Ronnie, il bel fustacchio Will (Liam Hemsworth) prototipo moderno di principe azzurro con tanto di megavilla e servitù al seguito. Le iniziali ostilità di lei muteranno come da copione in languidi pomeriggi spesi uno tra le braccia dell'altra (a incidere nomi sulle cortecce degli alberi, a rotolarsi nel fango e, sì, soprattutto a sorvegliare come ‘vestali marine' lo schiudersi delle uova di tartaruga di mare) mentre lo strale di cupido riuscirà - a tratti - a smussare anche un po' della repellente-scontrosità di Ronnie. Ma come in ogni storia di Sparks che si rispetti, la tragedia è dietro l'angolo, pronta a rimescolare cuori e sentimenti come fossero carte da gioco. Alla fine qualcosa di dolorosamente prevedibile accadrà, e siamo certi che non vi farete cogliere alla sprovvista...

L'apologia del dolore

Film del genere servono la causticità della critica su un vassoio d'argento. Le magagne (di sceneggiatura, registiche e attoriali) fioccano così copiose da seppellire il film sotto una spessa coltre di neve. Una fra tutte la protagonista dal grugno perennemente corrucciato, di una asocialità tanto urticante quanto stereotipata, che dovrebbe essere il cuore nevralgico della storia e che risulta invece la caricatura mal-riuscita di un'adolescente lunatica e molesta che rigurgita cattiveria nei confronti di tutto e tutti. Ma non si può certo imputare il flop (artistico, non certo commerciale) del film alla sola mancata perizia attoriale della Cyrus, invero non agevolata da una sceneggiatura che sembra mancare di una qualsiasi linea guida, e da una regia (di Julie Anne Robinson, con una solida carriera di regia per la tv alle spalle) che segue le tante scenette senza creare un barlume di unitarietà: tutto accade secondo logiche sconosciute, i personaggi attraversano gioie e dolori piombati su di loro per caso. E pur di cercare l'empatia dello spettatore, senza peraltro riuscirvi, il film indugia sull'immagine edulcorata della storia d'amore (anche questa nata come un fulmine a ciel sereno dopo un frullato versatosi sulla maglietta e un'occhiata - rabbiosa - di lei), per poi nel secondo tempo fare man bassa nel genere apologia del dolore, infilando in sequenza una serie di eventi difficilmente metabolizzabili in venti minuti di film: una morte tragica, il fardello di una bugia ingombrante, l'ombra di una malattia incurabile.

Verso un epilogo drammatico...

Dondolati da un ritmo melenso che genera a lungo andare un certo senso di nausea, e che si placa solo quando l'inquadratura vira su soggetti non-umani (che siano tartarughe marine o crepuscoli sul mare), il colpo di grazia ce lo danno i dialoghi, insulsi e affettati oltre ogni ragionevole utilità di target (che lo spettatore cui s'indirizza il film sia un adolescente? non può certo tradursi in una sceneggiatura basata su un vocabolario di dieci lemmi). Volete un assaggio? "L'amore è... un po' pazzo". Senza contare l'inquietante parallelo (si tratta di veri e propri calchi mal riusciti) tra il film in questione e Le pagine della nostra vita, altro film tratto da un romanzo di Sparks e diretto nel 2004 da Nick Cassavetes, che The Last Song ci fa amaramente rimpiangere. E non tanto perché la storia del primo sia mirabilmente originale (ciò che sta a cuore a Sparks sono i diari, le lettere, le parole e gli amori tragici, e questo è un fatto, può piacere o meno), quanto perché nella confezione pur zuccherosa di Cassavetes si muovevano attori carismatici, capaci infine di conferire alla pellicola un apparente realismo, di suscitare un certo trasporto emotivo e trascinarci poco alla volta nella storia. Qui non accade nulla di tutto ciò. Non c'è romanticismo, non c'è dramma, non c'è recitazione e non c'alcuna sinergia tra i personaggi. E l'unico che si sforzi quantomeno di recitare, Greg Kinnear, è impossibilitato dalla narrazione insulsa e dalla totale assenza di realismo che lo circonda.

E a conti fatti non bastano gli addominali scolpiti di Liam Heemsworth sempre in bella vista (che sembra aver apprezzato anche la stessa Miley tanto che i due - conosciutisi e innamoratisi sul set - sembrano voler presto convolare a giuste nozze), alcuni scorci dell'amena cittadina costiera lambita dall'oceano e da qualche tramonto, o qualche pezzo musicale - come She will be loved dei Maroon 5 - inserito con il proposito di strizzare l'occhio al target di riferimento, a ripagare il prezzo del biglietto. Perché, scusate la franchezza, il resto è una pura tortura dei sensi. Ma i dolori non sono finiti. È infatti imminente l'arrivo sul grande schermo di un altro film tratto da un romanzo di Sparks, ovvero Dear John. Non resta che attendere...


The Last Song Giunto al suo sedicesimo romanzo, e al sesto adattamento cinematografico, Nicholas Sparks firma anche la sua prima sceneggiatura per il grande schermo. Per la regia di Julie Anne Robinson e con la partecipazione ‘straordinaria’ della star Miley Cyrus (volata al successo sulle ali del personaggio di Hannah Montana) questo The Last Song è semplicemente tutto ciò che un film non dovrebbe essere: mal scritto, mal girato e molto mal recitato. Non c’è un guizzo di creatività durante i 107 minuti di pellicola che possa per un attimo risvegliarci dall’apoteosi di ‘banalismo’ che si sta materializzando davanti ai nostri occhi. E siamo ben lontani anche dai romanticismi leziosi o dai dramma-uragano cui ci ha abituati Sparks. Non si ride e non si piange e l’unica emozione sperimentabile è il sollievo che ci avvolge giunti ai titoli di coda...

4

Che voto dai a: The Last Song

Media Voto Utenti
Voti: 40
4.3
nd