In un futuro a noi vicino, per contrastare il crimine, il Governo degli Stati Uniti ha in programma di rilasciare un segnale in grado di inibire gli istinti più violenti nella popolazione. Una scelta drastica che, complice la chiusura dei confini e di ogni contatto con l'estero, ha dato il via a rivolte di massa e fenomeni di sciacallaggio prima dell'effettiva messa in atto della "cura".
Graham Bricke è un noto criminale che nella sua lunga carriera da fuorilegge non si è mai fatto scrupoli nell'uccidere e rubare, pur non riuscendo mai a fare quel grande colpo in grado di garantirgli un pensionamento anticipato. L'uomo viene abbordato in un bar dalla bella Shelby, un'esperta hacker nonché fidanzata dello schizoide Kevin Cash, erede di un potente gangster che gestisce la pressoché totalità degli affari illeciti locali.
La mal assortita coppia propone a Graham di partecipare a un colpo che potrebbe fruttare loro un malloppo pari a un miliardo di dollari, permettendogli al contempo di vendicare la morte del fratello, ucciso mentre si trovava in carcere.
Graham accetta, ma la missione, in una vera e propria corsa contro il tempo scandita dal countdown sull'attivazione del segnale, si rivelerà ricca di insidie e imprevisti.
Una cura peggiore del male
Alla base vi è l'omonima graphic novel di Rick Remender e Greg Tocchini, pubblicata nel 2009 con un discreto successo tra gli appassionati. D'altronde l'asse narrativo portante era ricco di sfumature, con un'ambientazione di violenze e saccheggi che ricorda - in circostanze e modalità ovviamente di diversa contestualizzazione - quanto si sta osservando per le strade d'Oltreoceano proprio in questi giorni. Eppure The Last Days of American Crime risulta un adattamento più smorzato del previsto, che poggia su una freddezza pre-calcolata che si riflette perfettamente nella monolitica interpretazione del protagonista Édgar Ramírez.
Una scelta probabilmente ponderata in partenza che però castra il coinvolgimento da parte del pubblico e il relativo lato tensivo, con le psicologie dei personaggi ricalcate su cliché abusati e parzialmente caricaturali.
Al film manca quella dose di follia che invece sprigiona Michael Pitt, istrionico e strabordante in una figura tanto urlata quanto necessaria all'interazione tra i tre personaggi principali, completati dall'affascinante presenza di Anna Brewster nei panni di femme fatale.
Azione e reazione
La durata che raggiunge le due ore e mezza è un altro peso alla fluidità dell'insieme e qualche taglio sarebbe stato gradito per snellire un racconto che rischia in più occasioni di scadere nella monotonia, con un marcato e gratuito uso della violenza a cercare di rinvigorire quanto accade su schermo.
E la regia di un solido artigiano di genere come il francese Olivier Megaton - due capitoli di Taken e uno di Transporter in carriera - offre il meglio proprio nelle pure sequenze action, tra inseguimenti su quattro ruote e furiose sparatorie, con tanto di bazooka, che dal lato ludico offrono un apprezzabile intrattenimento a tema, tra battute a effetto e pose plastiche di sorta.
Disponibile come original nel catalogo Netflix, The Last Days of American Crime pecca purtroppo nella sua visione distopica.
Finisce per concentrarsi esclusivamente sul nucleo di figure chiave - il poliziotto di Sharlto Copley ha un minutaggio troppo limitato - e lasciare fuori i dilemmi etici o morali che una svolta dittatoriale di questo tipo implicava per la società (i soli telegiornali che informano delle proteste sono un inutile contentino).
Tra un paio di forzature, colpi di scena prevedibili e un epilogo scontato, il film procede dritto per la propria strada senza fermarsi, risultando ben lontano dalle aspettative iniziali.
Sulla carta vi erano grandi potenzialità, a cominciare dalla graphic novel all'origine fino a un contesto che nelle sue derive distopiche ha molto in comune con il nostro inquietante contemporaneo. Peccato che in The Last Days of American Crime il contorno perda ben presto forza, svilito in favore dell'ambiguo, ma prevedibile, menage à trois che coinvolge i personaggi principali. Solo le efficaci dinamiche action e l'incontenibile performance del co-protagonista Michael Pitt salvano il film dalla noia totale, e le due ore e mezza di visione risultano effettivamente troppe per quanto vi era da raccontare, con un marcato e superfluo ricorso alla violenza di genere e diverse forzature narrative a delineare un quadro lontano dalla perfezione.