Recensione The Host

Stephenye Meyer di nuovo al cinema, ma l'attenzione passa dai vampiri agli alieni...

Recensione The Host
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Siamo qui riuniti, ancora una volta, per parlare di un film tratto da un romanzo di Stephenye Meyer. Non ci siamo ancora stancati di farlo? Diciamo che non siamo noi gli eletti per dare la risposta a questa domanda. Hollywood non è ancora paga di sfruttare quelle che sono le capacità di catalizzazione sociale della scrittrice e noi non possiamo fare altro che seguire le sue scelte. Visto che dalla saga di Twilight si era estrapolato tutto il possibile (anche se mai, come in questo caso, ci sta benissimo un “mai dire mai”), ci si è spostati sul secondo tentativo seriale scritto dalla Meyer: The Host. E dai vampiri ci spostiamo agli alieni, da una mitologia complessa andiamo a muovere i primi passi su un terreno che, se possibile, è ancora meno stabile del precedente. Come fare per cercare di evitare tutti i commenti indignati che Edward Cullen e compagni hanno scatenato nell’epoca del primo Twilight? Consegnando l’adattamento e la regia del The Host cinematografico a Andrew Niccol, non certo il primo sprovveduto con nessuna esperienza sul campo. Eppure, chi lo sa. Forse qualcuno, prima di gridare già al successo assicurato per il solo accostamento Stephenie Meyer - target adolescenziale, avrebbe dovuto soffermarsi a chiedersi come mai un romanzo come The Host, scritto con la possibilità di diventare una saga, si fosse fermato all’esistenza di volume unico disperso sullo scaffale di una libreria.

Scegli di credere

La Terra è minacciata da un nemico invisibile: un'apparentemente pacifica razza aliena sta colonizzando i corpi degli esseri umani, annullando le loro coscienze e prendendo il possesso del Pianeta. I loro intenti non sono distruttivi e mirano a rendere pacifico e perfettamente organizzato il nostro autodistruttivo modo di vivere. Non tutti gli esseri umani sono disposti però a farsi annullare in questo modo e ce ne sono alcuni che hanno formato delle sacche di resistenza. Tra loro ci sono Melanie Stryder (Saoirse Ronan) e Jared (Max Irons), incontratisi per caso e innamoratisi. Melanie farebbe di tutto per proteggere Jared e Jamie (Chandler Canterbury), suo fratello. Proprio per salvaguardare la vita di quest’ultimo, Melanie viene catturata dagli alieni. Nel suo corpo viene instillata un’Anima, Viandante, con il compito di scrutare i suoi ricordi e scovare la sede dei ribelli. Ma Melanie è una combattente e la sua coscienza non è pronta ad arrendersi. Viandante, attraverso i suoi ricordi, impara a conoscerla, ad apprezzare la sua forza, a condividere i forti sentimenti che lei prova per alcuni umani e a dubitare della giustizia del lavoro compiuto dalle altre Anime. Partono quindi alla ricerca dei ribelli. Quando questi trovano il corpo di Melanie, però, devono fare i conti con il fatto che, pur essendo fisicamente identica alla ragazza che hanno sempre amato, si tratta di una persona diversa, di questa aliena che potrebbe condannarli tutti. Ma Viandante è un’Anima atipica e presto tutti scopriranno perché.

Scegli di lottare. Sicuro?

C’è una cosa che qualcuno dovrebbe forse spiegare a Stephenie Meyer: sicuramente è brava a parlare di sentimenti, innocenti e poco carnali, ma il suo modo di narrarli non si può certo adattare a tutte le ambientazioni e, soprattutto, a lungo riproporsi potrebbe apparire ripetitivo. Non importa quanto vi dicano in giro che in The Host non c’è un triangolo amoroso. Lo hanno chiamato quadrilatero, parallelepipedo, stella a quattro punte e scatola magica. Possono dire quello che vogliono: quello tra Jared, Ian e il corpo di Melanie (seppur co-abitato da Wanda) è un palese triangolo amoroso ed è anche il filo portante di tutta la storia di The Host. È l’amore, al solito, che porta la protagonista a fare determinate scelte e che muove la sua coscienza verso le specifiche direzioni che ne comporranno la linea del destino. Tutto questo per dirvi, fin dal principio, che no, The Host non è una storia poi troppo diversa da quella di Twilight.
E si, se volete potete sentirvi un po’ presi in giro per questo.

Scegli di amare?

La speranza di The Host è la squadra che è stata riunita per il suo adattamento. Andrew Niccol è un ottimo sceneggiatore e un discreto regista; Saoirse Ronan ha dimostrato di essere una talentuosa attrice in più di un’occasione; Max Irons e Jake Abel sono delle interessanti giovani promesse del cinema... però, ci spiace dirverlo, tutti questi buoni presupposti non sono abbastanza. The Host è sicuramente un film dalle indiscusse potenzialità: gli sviluppi possibili, emotivi e d’azione, che il soggetto presenta sono intriganti e allettano lo spettatore in modo trasversale. Ma il suo modo di raccontarsi cadenzato, fatto di punti morti sotto la luce del deserto e di un continuo arrancare da parte di una protagonista che è indubbiamente non totalmente definita, trasformano la narrazione in una agonia dell’attesa. Ti ritrovi costantemente a chiederti se succederà presto qualcosa e la cosa assurda consiste nel fatto che, nel momento stesso in cui te lo chiedi, magari sullo schermo si sta davvero consumando uno dei punti di svolta della storia. Solo non te ne accorgi. E, insomma, è un bel problema: le evoluzioni psicologiche di Wanda, i suoi dilemmi amorosi, il suo scontarsi fisico contro la realtà apparente scorrono tutti con la stessa monotona intensità, senza mai appassionarti davvero. A meno che il tuo unico interesse non sia scoprire con quale dei due ragazzi eventualmente coronerà la protagonista il suo sogno d’amore.

The Host Il problema di The Host (letterario e cinematografico) è il suo essere raccontato male. Lo scheletro della storia è interessante, soprattutto se costruito per reggere un determinato tipo di target che ormai è più che definito; è il modo in cui i volumi gli si compongono attorno che non funziona pienamente. Per dare uguale spazio alla dimensione emotiva della dilaniata protagonista, Niccol rallenta i tempi cinematografici, adeguandoli a quelli letterari, con il risultato di proporre un film che non esplode mai sul serio e si adagia senza troppo rumore nelle sue due ore abbondanti di durata. Lo so, di solito è difficile (se non a livello personale, almeno a livello commerciale) sostenere che l’adattamento cinematografico di un’opera di Stephenie Meyer non funziona, nemmeno per il pubblico per il quale è stato scritto. Ma stavolta, nonostante l’evidente impegno potenziale di tutto il cast e la crew, The Host non convince.

5

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