Carmen Cobos è la quintessenza della "cattiva poliziotta": è solita bere in servizio, fuma una sigaretta dopo l'altra e ha ben due relazioni passionali, una di queste con il suo capo già sposato. Ciò nonostante è tra le migliori detective del dipartimento di Madrid e per questo le viene affidato un nuovo caso, relativo a un macabro omicidio.
La vittima, una giovane ragazza della buona società, è stata ritrovata senza vita in modalità del tutto particolari: il suo corpo inerme infatti è posizionato come se fosse la modella di un dipinto. Carmen viene affiancata nelle indagini dalla nuova collega Eva González, che è il suo esatto opposto. Le due inizialmente non si sopportano, ma col procedere degli eventi impareranno a collaborare per cercare di trovare al più presto l'assassino.
Nel frattempo altri cadaveri vengono rinvenuti in simili circostanze e Carmen capisce come dietro la scia di sangue vi sia la mano di un serial killer, che uccide i propri obiettivi in maniera artistica, seguendo le geometrie dei quadri del pittore Francisco Goya.
A caccia dell'assassino
Le vie del thriller di stampo poliziesco non sono infinite e spesso bisogna affidarsi a soluzioni narrative fuori dai canoni e personaggi sopra le righe, per cercare di imprimere quella verve in più.
The Goya Murders - L'arte di uccidere, produzione spagnola del 2019, ci prova almeno sulla carta, inserendo le opere di Goya come "modus operandi" seguito dal villain e mettendo nei panni di protagonista una bad cop dal taglio esasperato.
La tormentata vita di Carmen, interpretata da un'ottima Maribel Verdù, resta probabilmente l'elemento di maggior interesse dell'ora e mezza di visione, capace di dar vita a una figura sui generis che solitamente siamo abituati a vedere in abiti maschili (basti pensare, uno tra i tanti, al detective Carl Mørck della saga letteraria e filmica della sezione Q).
Proprio alcune delle scelte prese nel privato finiscono infatti per rivelarsi determinanti anche nello stesso svolgimento delle indagini e aggiungono quel pizzico di tensione emotiva in più a una storia che, a un certo punto, rischia di impigrirsi eccessivamente.
Indizio dopo indizio
L'intreccio infatti finisce per insinuare false piste e potenziali sospetti in maniera non sempre coesa, forzando la mano al racconto con l'obiettivo di mescolare le carte fino all'effettiva risoluzione del caso. Il buon ritmo e il rush finale riescono a rinvigorire l'interesse del pubblico, lasciando potenzialmente aperte le porte a un sequel.
Il madrileno Gerardo Herrero, produttore di oltre centocinquanta titoli in carriera, siede per l'ennesima volta dietro la macchina da presa e confeziona un film onesto, lontano dai capisaldi del filone ma più che godibile da tutti gli appassionati del suddetto.
Tra amari tradimenti, inseguimenti su quattro ruote, aspri contrasti professionali e profonde discussioni sul significato dell'arte, il film mette molta carne al fuoco, andando a volte a segno e altre fuori bersaglio, inserendosi in quella gradevole medietà delle produzioni di genere pensate per il grande pubblico appassionato di gialli e delitti, tant'è che la violenza è ridotta al minimo proprio in vista di tale target.